Quando un miliardario finisce in guai finanziari, di solito non riceve molta simpatia. L’Arabia Saudita è un’eccezione: oggi è nelle peste, ma riscuote enorme interesse e simpatia presso gli investitori internazionali il suo piano per uscire dai problemi – Visione 2030, imperniato su un gigantesco programma di privatizzazioni. Gli uomini del denaro sono pronti a dorare la riga finale dei loro bilanci con i preannunciati lauti guadagni.
I problemi dei sauditi vengono dalla stessa cosa che fino all’altro ieri ne ha fatto la gioia e la ricchezza: il petrolio. Una volta rendeva un sacco, oggi molto meno: un barile costa 50 dollari. Negli anni d’oro (oro nero, si capisce) lo Stato saudita si è comprato il consenso della popolazione con le rendite petrolifere, per cui adesso il bilancio di Riyadh è in rosso fiamma. Smetterebbe di fare acqua se il prezzo del barile fosse a 75. I 25 dollari che mancano si tramutano in un enorme deficit pubblico.
Di qui l’idea di privatizzare. Il piano è colossale. È previsto l’incasso di circa 200 miliardi di dollari, il che ne fa il più grande programma di privatizzazione al mondo da che è finito il grande party russo degli anni Novanta. Nemmeno le celebri vendite di Margaret Thatcher reggono il confronto.
Le privatizzazioni dovrebbero cancellarlo e spingere il Paese verso uno sviluppo meno squilibrato. Allah ha posto in Arabia sterminate ricchezze minerarie (idrocarburi ma anche oro, uranio e fosfati), però nel Corano non c’è per niente scritto che i fedeli hanno il diritto di non lavorare. Le cessioni permetteranno di coprire le spese dello Stato e in più generare risorse per lo sviluppo dell’industria e della tecnologia.
Il segno “In vendita” (للبيع in arabo) è oggi attaccato alle imprese più diverse: petrolio, elettricità, acqua, trasporti, supermercati, scuole e perfino ospedali e squadre di calcio. Ce n’è per tutti e molti si stanno già precipitando nel Regno per annusare l’aria odorosa di buon affari. La prima tappa è la Saudi Aramco, per decenni la compagnia petrolifera top al mondo, parte delle cui azioni saranno collocate presso il pubblico e poi quotate alla Borsa di Riyadh e a quella di New York.
Nelle intenzioni dell’erede al trono, Muhammad bin Salman, artefice di Visione 2030, il punto d’approdo sarà un’Arabia Saudita finanziariamente stabile, con un fiorente settore privato e un’economia più diversificata. Già oggi i sauditi sono molto avanti nello sfruttamento delle energie alternative, come il solare e l’eolico, per cui hanno condizioni molto favorevoli (non si può dire che “piove sul bagnato” perché sembrerebbe di sfottere, in un Paese in cui il deserto occupa il 90% del territorio). Anche in questi campi la privatizzazione aprirà opportunità di business internazionali.