Krasnodar, Russia.
Un uomo trova casualmente un cellulare. Discreto valore. Forse pensa perfino di fregarselo. La curiosità ha però il sopravvento. Apre la galleria delle foto e rimane così, con la mano tremante e l’immagine che si moltiplica davanti ai suoi occhi, prima nitida poi annebbiata d’incredulo terrore.
C’è un tale, magro e con pochi capelli, che sorride brandendo un braccio umano. Il sangue sembra quasi fuoriuscire dallo schermo, tanto è nitido.
Nei suoi occhi c’è rabbia, follia, persino divertimento.
Il cellulare viene immediatamente consegnato alla polizia e partono le indagini.
In un paio di giorni scattano le manette attorno ai polsi di Dmitry Baksheev e di sua moglie Natalia.
La loro abitazione viene perquisita da cima a fondo, ma è in cucina, all’interno del congelatore, che gli agenti fanno la terribile scoperta.
Resti umani, braccia, piedi, persino teste, ben stipate in attesa di essere prelevate.
Per farci cosa?
Partono gli interrogatori.
La polizia russa, fin dalla notte dei tempi, non è abituata a scherzare.
Le confessioni vengono strappate dai due coniugi che sembrano quasi volersi giustificare.
Per farci cosa? Per cibarsene, dopo averli opportunamente cucinati, è ovvio.
Cristo santo. “E le vittime?” Gli agenti sono increduli.
Da alcuni siti d’incontri. Bersagli facili.
Le scrivanie degli inquirenti vengono ricoperte di cellulati, ritrovati nell’abitazione dei due assassini.
Foto, foto e ancora foto. Selfie, corpi smembrati. Sangue e pentole fumanti.
A quando risale il primo omicidio?
Si controllano le date: 28 Dicembre 1999.
Sullo schermo compare un vassoio su quale è appoggiata la testa di una donna.
Un agente non resiste. E’ costretto ad uscire dall’ufficio.
Attorno alla testa ci sono dei mandarini. Al posto degli occhi sono state infilate due olive e premuto contro il naso un limone.
Le indagini proseguono.
Cosa facevate dopo aver adescato le vostre vittime nei siti d’incontri?
I cannibali sciorinano tutto, prima accampando versioni inverosimili, poi aggiustando la mira
Esiste una sostanza, una specie di droga. Si chiama Corvalol.
La donna, Natalia, lavora all’accademia militare di Krasnodar come infermiera.
Avete servito carne umana a quei soldati?
Lei non risponde. Si stringe nelle spalle.
Il numero degli omicidi cresce a dismisura, tra una foto e un interrogatorio.
Ventidue… Ventitré…
Alla fine si arriverà a trenta. Ma la conta potrebbe non essere ancora finita.
I vicini della coppia, interrogati, hanno ammesso di aver da tempo sentito provenire dall’abitazione dei due un forte odore sgradevole.
“Ma non ci permettevano di entrare in casa” spiega uno di loro “Quando ci abbiamo provato si sono messi a urlare e a piangere.”
Niente di particolarmente strano in un contesto al limite della sopravvivenza, dove la miseria e la morte si mischiano in un ultimo disperato e folle scampolo di lucidità deviata.
La coppia di assassini, ora rinchiusa a tripla mandata in un carcere di massima sicurezza e controllata a vista, pare non abbia ancora terminato di vuotare il sacco.
Quanto può essere profondo l’inferno?
Le indagini proseguono in queste ore
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