In un mio precedente articolo, Il caso di Yara Gambirasio: il D.N.A. e la “pistola fumante“, ho evidenziato come, in assenza di altre prove concordanti, la sola scoperta di una traccia di dna sul corpo della vittima di un omicidio non significa che la persona cui tale impronta genetica appartiene sia il sicuro colpevole.
Ciò per la possibilità di una contaminazione, estranea al delitto, tra le cellule del corpo di un innocente e quello della vittima.
La mitizzazione della “prova scientifica”, tale da metter fine, con la sua obiettività, ad ogni controversia, fa sì che l’ipotesi sopraddetta venga considerata capziosa.
Invece esistono precedenti di errori investigativi causati dal fraintendimento di tracce genetiche, uno in particolare davvero impressionante.
Il caso viene riportato nel numero di giugno 2016 dell’autorevole rivista Scientific American.
Nel novembre del 2012, a San José, in California, uno sconosciuto rapinatore si introduce nella villa del milionario Raveesh Kumra, colpendo a morte quest’ultimo e ferendo gravemente la moglie. Sulla scena del delitto vengono rinvenute tracce genetiche che, a seguito di riscontri, si scoprono appartenere a tale Lukis Anderson.
Anderson è il colpevole perfetto. Si tratta infatti di un balordo ubriacone e senza tetto.
Nel dicembre 2012 Anderson viene arrestato con l’accusa di omicidio e, nonostante si professi innocente, pare avviato a una sicura condanna alla pena di morte.
Sennonché Anderson trova nel vizio dell’alcool un insperato aiuto.
Nella notte in cui è avvenuta la rapina a casa Kumra, egli si trovava ricoverato in coma etilico, sotto stretta sorveglianza medica, presso l’ospedale di San José.
Dunque, c’è la prova indiscutibile della sua innocenza.
Ma allora come mai il suo dna si trovava sulla scena del delitto, visto che tra lui e la vittima non c’erano mai stati contatti diretti?
Si apre una discussione, che coinvolge gli studiosi di genetica e gli esperti di indagini criminali, sull’affidabilità del cosiddetto “touch D.N.A”, ovvero le impronte genetiche che tutti noi lasciamo a seguito di un semplice contatto con persone o cose, e soprattutto sulla probabilità che tali impronte passino da un luogo all’altro trasportate da altre persone.
Sì, perché gli avvocati di Lukis Anderson alla fine sono riusciti a scoprire come le tracce genetiche del loro assistito siano finite nella villa di Kumra, in cui non aveva mai messo piede.
Lukis Anderson era stato soccorso, poche ore prima che venissero chiamati per cercare di rianimare, invano, Raveesh Kumra, dagli stessi sanitari dell’ospedale cittadino.
Nella concitazione della doppia emergenza, costoro non si erano ripuliti accuratamente delle tracce che erano loro rimaste addosso per aver manipolato il corpo di Anderson…
Rino Casazza
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Mi sono informato. Il suo cellulare agganciava la cellula di Mapello, che è assai ampia e peraltro ricompende il luogo di abitazione di Bossetti. Ripeto: non sono un fan bossettiano, ma difendo un giusto processo, fondato su prove inequivocabili. E la prova che all’ora della scomparsa di Yara Bossetti fosse nei pressi del Centro Sportivo non c’è
Come ho già scritto, non c’è prova che Bossetti “girasse dietro la palestra” quando la bimba si incamminava verso casa. Si sa solo che si trovava nella zona di aggancio della cellula telefonica di Mapello, in in’area di 5 km quadrati, come peraltro tutte le sere, perchè casa sua sta lì