Nel giorno dell’addio al Maestro della musica milanese per eccellenza, vi riproponiamo una delle ultime interviste che Nanni Svampa fece con il nostro scrittore noir Alex Rebatto per Fronte del Blog, la primavera scorsa.
Nanni Svampa si racconta – Una volta, a Parigi…
di Alex Rebatto
Porto Valtravaglia si appoggia sulle sponde del lago Maggiore e s’inerpica attraverso stradine quasi impercorribili in auto. Le case, resistite alla guerra, sembrano affreschi apparentemente lontani dalla città tentacolare, con il suo caos, la sua routine frenetica.
Il vento lacustre soffia forte facendo sbattere qualche persiana, una pioggerellina d’antipasto che preannuncia la grandinata serale.
Dopo aver parcheggiato, in patetico ritardo, mi sono incamminato lungo il viottolo in salita. Alla mia destra, su un muretto che si affacciava senza impedimenti sulla maestosità del lago, un gatto rosso sonnecchiava quieto. Ho provato a immortalarlo col mio cellulare ma si è dileguato troppo in fretta.
Una signora poco lontano, intenta a raccogliere la posta, mi ha sorriso.
“Sei tu, vero?” mi ha fatto strada all’interno di un casolare elegante e dal sapore antico.
Lui, il più storico dei cantastorie milanesi, sedeva al tavolone della sala da pranzo. Ha picchiettato sull’orologio con una smorfia sarcastica e mi ha stretto la mano.
“Ci beviamo un caffè?” ha esordito con quella voce così famigliare.
Eccoli lì, Nanni Svampa e l’affascinate consorte, sposati da 51 anni. Si scambiano un’occhiata complice mentre butto lì qualche parola di circostanza sul caffè migliore, sui figli e sul complicato mondo editoriale. Poi lei, discreta, si allontana e ci lascia soli.
“Tu sei di Trezzano?” mi dice Nanni sorseggiando il suo caffè “Noi andavamo a mangiare spesso da quelle parti. Al Mago, esiste ancora? Alle due di notte era ancora aperto, c’era questo camino enorme. Lui, con questa faccia da pazzo era uno dei pochi che teneva aperto fino a tardi e noi da Milano, finito a teatro, andavamo lì.”
Ma dobbiamo partire dall’inizio, come ogni bella storia che si rispetti.
In uno spettacolo lo sentii dire che per assurdo, grazie alla guerra, aveva avuto un’infanzia fantastica.
“Io sono nato a Milano” ricorda “A due anni, quando è scoppiata la guerra, siamo stati tutti sfollati a Sangiano, un paesino dell’alto varesotto. Era il paese di mio nonno. Si viveva in una grande casa rurale con davanti orti e frutteti, C’era la stalla con tutti gli animali e pensa, per un bambino, che meraviglia potesse essere avere attorno i maiali, le mucche e le galline. Io saltavo sui carri e andavo a fare il fieno nei campi più lontani, giocavo sotto l’immenso portico della casa, facevo le frecce con le aste degli ombrelli per tirarle agli uccelli, beccando però solo le mele, ovviamente. L’unica volta che ho sentito, realmente, la presenza della guerra è stato quando una volta, accompagnando lo zio con la morosa, su in cima al monte dietro a Sangiano, ho visto un aereo che andava a mitragliare Intra.”
(Vai all’intervista integrale)