È di qualche giorno fa la notizia che sarebbe in corso un’indagine supplementare sulla vicenda più famosa della cronaca nera italiana, il caso del Mostro di Firenze.
Per il momento si sa soltanto che sarebbero indagati due personaggi in età assai avanzat: un’ex legionario fiorentino con (ovvie) simpatie di estrema destra, e un medico anch’egli residente nella zona.
In attesa di maggiori particolari, cogliamo l’occasione per fare il punto su questa storia di sedici efferati omicidi commessi tra il 1969 e il 1985, con uno strascico giudiziario che perdura tutt’oggi.
Per dare l’idea del clamore suscitato dalla vicenda, e della sua longevità, ricordo che all’inizio degli anni 80, quando l’azione del misterioso assassino ebbe la sua fase calda, con ben sei omicidi di coppiette appartate in cinque anni, anche nella mia città natale, Sarzana, che pure dista duecento chilometri abbondanti dal circondario di Firenze, luogo elettivo delle gesta del “Mostro”, i giovani morosi avevano parecchie remore a “imboscarsi”.
Dirò di più: per superare la psicosi del maniaco s’era creata l’abitudine di condividere un ampio spiazzo sul litorale, vicino alla spiaggia, dove, appunto, di sera si creava una fila di auto parcheggiate l’una vicino all’altra, nella penombra dei cui abitacoli le coppiette amoreggiavano…
Ma tralasciamo le note di colore, per ricostruire la storia tenebrosa e tragica del “Mostro” per eccellenza.
Diciamo subito che, dal punto di vista processuale, la vicenda si è chiusa con una certezza e il rinvio ad un ulteriore approfondimento.
La sentenza definitiva di Cassazione del 26 ottobre 2000 ha attribuito la responsabilità dei delitti ai cosiddetti “compagni di merende”. A sette duplici omicidi ( viene escluso il primo, del 68, attribuito ad altro soggetto) a volte risultano aver partecipato tutti, a volte solo alcuni di loro.
Si tratta di Mario Vanni, Giancarlo Lotti e Pietro Pacciani.
Quest’ultimo, il più famoso, oggetto di un’alterna vicenda giudiziaria come imputato unico, ha evitato la condanna in quanto defunto prima della conclusione del processo.
Anche gli altri due oggi non sono più in vita.
La sentenza si fonda sul presupposto che i tre amici, popolani ambigui e balordi, abbiano commesso i delitti su mandato di ignoti, interessati ai resti macabramente asportati dai cadaveri delle donne assassinate.
È il cosiddetto “secondo livello” , una “setta” od organizzazione occulta similare, composta da personaggi di più elevata cultura ed estrazione sociale dei “compagni di merende”.
Sottolineo quanto sia discutibile identificare i colpevoli di crimini commissionati da un’associazione per delinquere senza fornire alcuna indicazione sui vertici della stessa.
L’ appendice d’inchiesta in corso riguarda, con ogni evidenza, la ricerca del “secondo livello”, del quale, in questi ultimi diciassette anni, non si è mai trovata la minima traccia, dando ragione ai sostenitori dell’ altra più accreditata teoria, quella del ” mostro solitario”.
All’inizio, che il “Mostro” fosse un singolo era assodato.
Lo indicava sia l’analisi delle scene dei delitti, sia un’acquisizione pacifica degli esperti che da tempo, soprattutto negli Stati Uniti, studiano il comportamento dei “serial killer”.
Questa categoria di criminali, noti per ripetere lo stesso tipo di omicidio come se fosse un rito, soddisfano uccidendo una distorta pulsione affondata nel profondo della loro psiche, il che li rende assolutamente refrattari a condividere le proprie azioni delittuose.
E sulla natura “seriale” dei delitti del “Mostro”, vere e proprie fotocopie per modalità, luoghi e genere di vittime, non ci sono mai stati dubbi.
Tant’è che nel 1993 le indagini portarono all’incriminazione di un solo imputato, il rozzo e violento Pietro Pacciani, pregiudicato per omicidio passionale e incesto nei confronti delle figlie.
L’ipotesi dei complici prese forma soltanto alla fine del processo di appello nel 1996, conclusosi con l’assoluzione di Pacciani dopo la condanna in primo grado.
Le indagini sui “compagni di merende” servirono a puntellare il traballante impianto accusatorio contro il “contadino di Mercatale Val di Pesa”, come veniva definito dalla stampa.
La nuova pista ha visto come sostenitore di punta Michele Giuttari, Capo della Squadra Mobile di Firenze dal 1995 al 2003. Giuttari nel 1998 ha pubblicato un libro sull’argomento, “Compagni di sangue”, scritto a quattro mani con lo scrittore Carlo Lucarelli.
Come già detto, l’ipotesi di più “mostri” in combutta tra di loro ha superato il vaglio giudiziario, anche se sono sempre rimasti forti dubbi, non solo per il contrasto con la teoria sull’irriducibile individualismo dei serial killer, ma anche per la scarsa credibilità dei complici di Pacciani, Vanni e Lotti, due classici “scemi del villaggio”.
La sentenza finale si regge soprattutto sulle ammissioni di Lotti che chiamano di correità Pacciani e Vanni.
Riscontri oggettivi certi mancano, e spesso le testimonianze degli imputati non si accordano ai fatti.
Inoltre chi, ovvero Pacciani, nella ricostruzione assume il ruolo di esecutore materiale, mentre gli altri due avrebbero avuto funzione di “basista” ( Lotti) e di estemporaneo “dissezionatore” dei cadaveri femminili (Vanni), non ha potuto difendersi.
Il maggiore esponente della tesi del “mostro solitario” è il giornalista d’inchiesta Mario Spezi, recentemente defunto, senz’altro uno dei più profondi conoscitori del caso, di cui si era occupato, come cronista, fin dal 1981.
Nel libro “Dolci colline di sangue”, del 2006, scritto in collaborazione con lo scrittore americano Douglas Preston, Spezi oltre a esprimere documentati dubbi sulla correttezza dell'”indagine Pacciani”, in particolare sul ritrovamento, nel giardino del “contadino di Mercatale” , di una pallottola compatibile con quelle sparate dalla pistola ( mai ritrovata) del “Mostro”, elabora una soluzione alternativa, apparentemente di fantasia, che finisce per indicare il presunto vero colpevole (unico) dei delitti del “Mostro”.
Più recentemente, è stata avanzata l’ipotesi, suggestiva, che in realtà il “Mostro” vada ancora ricercato tra i compagni di merende, ma non sia Pacciani bensì Lotti.
Si veda, a tal proposito, il libro, puntigliosamente documentato e argomentato, di Antonio Segnini, “”La verità sul “Mostro di Firenze”, che ha il pregio di esaminare criticamente sia la soluzione giudiziaria che quella proposta da Spezi.
Vedremo dove porterà il nuovo filone di indagine che, a quanto è dato di capire dalle prime indiscrezioni, avrebbe individuato punti di contatto tra il “secondo livello” e le trame della strategia della tensione.
La gran parte dei delitti del “Mostro” sono, in effetti, avvenuti negli anni di piombo, ma a colpo d’occhio questa ulteriore complicazione rischia solo di aggrovigliare la matassa.
Rino Casazza