Far indagare insieme Sherlock Holmes e Padre Brown non era ancora venuto in mente a nessuno, ed è difficile sostenere che l’operazione non sia temeraria.
Prima di tutto, per la profonda differenza tra i loro due autori: il laico narratore “di genere” Arthur Conan Doyle, scozzese, e il credente scrittore “mainstream” Gilbert Keith Chesterton, londinese.
I due personaggi, poi, hanno caratteristiche antitetiche: l’uno, Holmes, è il professionista, addirittura lo scienziato dell’investigazione per eccellenza; l’altro, Padre Brown, è un detective “per caso”, il più autenticamente dilettante della storia del giallo.
Il loro metodo d’indagine diverge sostanzialmente: Holmes è alla infaticabile ricerca di deduzioni ( i pignoli esperti di logica sostengono trattarsi, in realtà, di “abduzioni”) tratte dall’analisi attenta dei fatti; Padre Brown vuol comprendere l’anima delle persone coinvolte nell’indagine in base alla sua esperienza dei peccatori.
“Sherlock Holmes, Padre Brown e l’ombra di Dracula” si apre con due citazioni che riassumono icasticamente tutta l’inconciliabilità tra i due protagonisti.
La prima, tratta dal racconto “Il diadema di berilli”, è il famoso manifesto del metodo holmesiano: “eliminato l’impossibile, tutto ciò che resta, per quanto improbabile, dev’essere la verità”.
La seconda, contenuta nel racconto “La maledizione della Croce d’oro”, è un tipico paradosso “padrebrowniano”: “posso credere all’impossibile, ma non all’improbabile”.
Le due massime sembrano, all’apparenza, in netto contrasto, ma non è così se si considera che Holmes parla di un’operazione razionale, quasi di laboratorio, mentre Padre Brown si riferisce all’ atteggiamento psicologico alla base della fede.
Insomma non è detto che i due debbano essere così estranei.
La miglior palestra per una loro collaborazione non poteva che essere una vicenda borderline tra soprannaturale e umano come tutte quelle che coinvolgono il vampirismo.
Di seguito, un capitolo del romanzo.
Quel che spiega la morte
Ospedale comunale di Grassobbio, 3 dicembre 1913
«Ecco qui questo poveraccio» disse il professor Paolo Gritti, dopo aver tolto il lenzuolo che ricopriva la sagoma distesa sul tavolo di marmo dell’obitorio.
Benché si fosse espresso in italiano, nessuno aveva avuto difficoltà a comprendere le sue parole.
Faticavano tutti a rimanere impassibili. Padre Brown si fece il segno della croce.
Il cadavere nudo esposto ai loro occhi era davvero impressionante. La pelle, di colore verdognolo, era così secca, per la disidratazione dovuta all’assenza di sangue, che le cuciture dell’autopsia sembravano fragilissime, e in pericolo di strapparsi da un momento all’altro.
Grazie alla rigida temperatura della stagione, e al locale interrato e tenuto senza alcun riscaldamento, il corpo era in condizioni ancora buone nonostante fosse trascorsa quasi una settimana dal decesso. Il puzzo della putrefazione era percepibile, ma sopportabile.
Il professor Gritti, direttore dell’ospedale, era del tutto a suo agio in quella vera e propria ghiacciaia, tant’è che non indossava nulla sopra il camice candido. Era un omone con una gran pancia, ma si muoveva con disinvoltura intorno al tavolo, di fronte al gruppetto di ospiti intabarrati e infreddoliti.
Erano presenti, oltre a Maffeis, tutti i membri della spedizione investigativa inglese.
Holmes non aveva avuto cuore di escludere l’amico da un atto d’indagine che chiamava in causa le sue competenze professionali. Approfittando che l’ospedale, in cui era confluita tutta la struttura operativa presso il Villaggio “Cotoni Seriana”, si trovava nelle vicinanze, erano passati a prendere Watson.
Inutile dire che il dottore aveva molto apprezzato.
Anche i Conti di Shadywood parevano soddisfatti che gli ospiti inglesi avessero preso sul serio le cose, come dimostrava la solerte visita all’obitorio. Si poteva considerare fugato ogni dubbio che il Conte Hector potesse mostrarsi recalcitrante all’intervento di Holmes e Padre Brown.
«Lo conoscevo, sapete?» aggiunse Gritti che, scambiato un cenno d’intesa con Flambeau, da lì in poi si valse di lui come interprete: «E’ stato mio paziente qualche anno fa alla “Clinica Santa Grata”»
Padre Brown azzardò una domanda in inglese: «Is the name of abandoned hospital? »
La pronta risposta di Gritti dimostrò che il Padre non s’era sbagliato sulla facile comprensibilità della sua battuta: «Certo! Corrisponde a quello della Patrona di Grassobbio.»
«Molto interessante, ma si può prendere una vista da vicino del corpo?» tagliò corto Holmes, con una certa scortesia.
Il professore non mostrò la minima suscettibilità: «Ma certo! Ho letto tutte sue avventure nella versione del collega, sa? Sono un vostro grande ammiratore! Spero che vorrete entrambi rilasciarmi un autografo: di là nel mio ufficio ho una copia di “The Return of Sherlock Holmes”»
«Non mancheremo, vero John? Mi dica, Professore» aggiunse subito, smanioso di entrare in medias res «abstraendo i due buchi sul collo non ha trovato altri segni irregolari?»
«Nessuno. Bachetta aveva il fisico integro e robusto del contadino. Sarebbe campato cent’anni senza malattie!»
«Wait a moment!» esclamò Watson, facendo voltare tutti di scatto «Do you want to translate my words, please?» aggiunse, rivolgendosi a Flambeau. Era chiaro che voleva intervenire nella conversazione. Holmes si mostrò contrariato. Difficile capire se per l’interruzione in sé, visto che l’amico era solito non intromettersi quando lui stava investigando, o perché Watson non s’era rivolto a lui per la traduzione ma all’ex ladro francese, così rimarcando che l’italiano di quest’ultimo era migliore del suo…
La spalla di Padre Brown ascoltò il medico esprimersi brevemente nella sua lingua, poi tradusse: «Fa notare che il morto era stato in cura da lei…»
«Ha ragione! Vedete quella cicatrice sul polpaccio? È lì che l’ho operato per estrargli una cisti sebacea benigna…»
Holmes non diede il tempo a Flambeau di tradurre a beneficio di Watson (e del Padre): «Mi dica, professore: un individuo privato del proprio sangue attraverso due fori di quella magnitudine» indicò il punto «quanto a lungo impiegherebbe a perdere conoscenza?»
Gritti ci pensò un attimo, poi dettò a Flambeau: «Qualche minuto di sicuro. Diciamo almeno cinque.»
Di nuovo Holmes non attese che Padre Brown e Watson usufruissero della traduzione: «Quindi la vittima era inabile a reagire al dissanguamento, mentre questo occureva.»
Gritti annuiva con fervore. «La fascinazione vampira, no? »
Holmes dimostrò per l’ennesima volta che, pur essendo inglese, non amava troppo l’umorismo. Quello altrui, almeno. «La novella di Stoker ha raggiunto una popularità eccessiva. Il nostro assassino…»
Interruzione di Maffeis, accolta con cenni d’assenso da Padre Brown: «…Assassini»
«Il numero è insignificante.» fece Holmes «Uno o molti, importa che stiano giocando sull’equivoco di una presenza vampira.» Rivolto a Gritti: «Se sul corpo, come lei conferma, mancano segni di stupefazione ottenuta con forza, quest’uomo deve essere stato sedato chimicalmente. Non trova?»
«Corretto! Ma nei residui della digestione non abbiamo trovato nulla e, sfortunatamente, nemmeno nel sangue. Per totale mancanza di un campione da analizzare…»
Il tono della traduzione inglese di Flambeau sottolineava l’ironia di queste parole. Holmes rimase imperturbabile come se non l’avesse colta, anche se la sua battuta successiva aveva l’aria di una ripicca: «Le dispiace se guardo al corpo da solo? A lei potrebbe essere scapato qualcosa.» Tirò fuori la lente d’ingrandimento senza attendere lo scontato via libera di Gritti, incominciando ad esaminare accuratamente il cadavere, in un silenzio piuttosto imbarazzato.
Finito d’esplorare il davanti del corpo, Holmes chiese a Gritti un aiuto per rigirarlo, completando l’operazione anche per la parte posteriore.
«Un buon lavoro, professore.» concesse alla fine «Nessuno altro segno di violenza. Soprattutto, non ce ne sono di venopunctura.»
«Complimenti per le sue conoscenze mediche signor Holmes!» esclamò Gritti. «E’ giunto alle mie stesse conclusioni, vero? Ho cercato di spiegarle al Commissario ma lui non le ha ritenute importanti!»
Padre Brown e Flambeau ascoltavano incuriositi questo dialogo “tecnico”. Watson, invece, con impazienza, fece segno e ottenne dall’investigatore francese di tradurre un proprio contributo alla materia trattata: «Intendete dire che la vittima è stata ridotta all’impotenza inoculandole per via carotidea una sostanza stupefacente? Le iniezioni arteriose sono pericolosissime!»
«Beata ingenuità, John!» esclamò Holmes. Anche Gritti sorrideva. «Non considera che il povero Bachetta era comunque destinato a morire? In ogni modo mi compiaccio che consenta con noi sulla dinamica del delitto: era necessaria una sedazione farmacologica forte per poter prelevare il sangue alla vittima, e senza ingiurie sul corpo, abstraendo i fori sulla carotide, l’unica conclusione logica…»
«Eliminated the impossible…» Un altro intervento in inglese di Padre Brown. Comprensibile con maggior immediatezza del precedente, in quanto ricavato dalla massima di Holmes conosciuta in tutto il mondo.
«…eliminato l’impossibile, certo!» confermò l’investigatore londinese «…l’unica conclusione logica, dicevo, è che gli assassini… sì: l’azione riquire la partecipazione di più di una persona…» ammiccò al Commissario «… hanno praticato l’iniezione sulla carotide, e poi l’hanno obscurata con uno dei presuntivi segni di canino…»
Un Flambeau assai sornione s’affrettò a tradurre un intervento dello smanioso Watson: «Senza una lotta furibonda non si può costringere qualcuno a farsi praticare un’iniezione sul collo!»
«Convengo, dottore.» disse Gritti «Ma la vittima potrebbe benissino essere stata prima cloroformizzata per via aerea… Tra l’aggressione e la scoperta del corpo è trascorso quanto basta per dissipare tracce e odore della sostanza…»
Holmes annuiva con convinzione. «Complimenti alla sua sagacia investigativa! Vogliamo parlare riguardo ai fori?»
Rino Casazza
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