Se si facesse un sondaggio sulla conoscenza delle serie tv sulle avventure di Padre Brown, si può star sicuri che la stragrande maggioranza degli interrogati risponderebbe: i telefilm RAI dedicati nel 1971 a “I racconti di Padre Brown”, con Renato Rascel.
Solo una piccola parte citerebbe la recentissima fiction a episodi “Father Brown” della BBC, distribuita in chiaro in Italia da Paramount TV, mentre nessuno, mi sento di dire, menzionerebbe “Sei delitti per Padre Brown”, serie andata in onda sulla rete pubblica nel 1988.
Eppure il programma, trasmesso in prima serata al mercoledì su RaiUno, ebbe una grande visibilità.
Anche il cast era di tutto rispetto. Vi figuravano, tra gli altri: Paolo Bonacelli, Gianni Garko, Franco Citti, Mimsy Farmer, Caterine Spaak, Fabio Testi e Stefania Sandrelli.
La regia era firmata da Vittorio De Sisti, regista che, fattosi le ossa negli anni 70 con le commedie sexy ( in questo genere, sbancò il botteghino con due titoli : “L’insegnante va in città” con Carmen Villani, attrice di punta nel cinema piccante di allora, e “Fiorina la vacca”, tratto da testi del Ruzante, in cui recita una giovanissima Ornella Muti), si era poi dedicato, a partire dagli anni 80, alla regia di sceneggiati televisivi, cimentandosi in numerosi generi oltre a quello della commedia leggera.
Sceneggiatore della serie era Sauro Scavolini, fratello del più famoso Roberto. Scavolini era autore con un discreto curriculum nei film di azione e polizieschi. Fiore all’occhiello, le collaborazioni col regista “cult” di genere Sergio Martino.
La serie, come quella di Cottafavi con Rascel/Foà del 1971, e al contrario di quella contemporanea della BBC con Mark Williams ( ho già parlato di entrambe in un recente articolo), si basava sui racconti originali di Chesterton, di cui rispettava il nocciolo della trama.
Il titolo cambiava radicalmente in tre casi : “La sposa bugiarda”, 2° episodio ; “Il destino dei Ghisalberti”, 3° episodio ; “La scomparsa di Verri”, 4° episodio . Rimaneva pressoché inalterato negli altri tre : “Il problema insolubile”, 1° episodio; “Lo spettro del principe”, 5° episodio; “Il delitto del Signore di Marne”, 6°episodio.
Ultimamente è reperibile su youtube, pur in una definizione non eccelsa, l’ultimo episodio del ciclo, versione cinematografica di “The Chief Mourner of Marne”, racconto che chiude l’antologia “The Secret of Father Brown”.
Dobbiamo dire che il titolo della puntata lascia perplessi.
Meglio sarebbe stato attenersi alla lettera del titolo chestertoniano, che tradotto suona “Il Grande dolente di Marne”, o meglio ancora “Il lutto supremo del Marchese di Marne”.
Non è chiaro cosa abbia indotto la produzione a scegliere un titolo più semplice, e neutro.
Una possibile spiegazione sta nel timore di anticipare la chiave del mistero poliziesco, basata sul tema del “lutto”.
Ma se lo stesso Chesterton non ha esitato a dargli così esplicita evidenza, si poteva confidare che non avrebbe nuociuto alla storia.
Il film ha parecchi pregi.
Si intuisce, pur sotto la scarsa qualità della copia di pubblico dominio, una pregevole cura dell’ambientazione.
L’Inghilterra del primo novecento viene resa in modo accurato, e la parrocchia di Padre Brown -comè noto Chesterton non la descrive mai – risulta persino credibile, pur trovandosi in una grande città e non in un piccolo paese, come nella versione letteraria.
Il protagonista è interpretato da Emrys James, attore sheakespeariano di origini gallesi con vasta esperienza, soprattutto teatrale, anche se poteva vantare una parte di peso in uno sceneggiato poliziesco inglese dedicato a Sherlock Holmes.
La performance di James è valida, specie per come riesce a interpretare il lato sacerdotale di Padre Brown che, non bisogna dimenticarlo, mette nelle sue indagini la particolare visione della vita, e del Male, che gli viene dell’esercizio del ministero.
È scontato che, nel ruolo, continuiamo a preferire Rascel, con la sua vivacità che sa aprirsi, quando serve, alla riflessione morale; tuttavia nei panni del prete detective ci convince di più il parroco pacioso impersonato da James che l’impiccione in tonaca interpretato da Mark Williams in “Father Brown” della BBC.
Tra gli altri interpreti dell’episodio, Garko si conferma l’ ottimo professionista che abbiamo ammirato in altre produzioni.
Quanto a Fabio Testi, è all’altezza. C’è da rallegrarsi che sia ottimamente doppiato, perché la sua voce mal si sarebbe adattata al personaggio, un istrione sheakepeariano molto compreso di sé.
Nota dolente, Caterine Spaak. La popolarità, interpretiamo, le ha risparmiato un doppiaggio invece indispensabile: una ricca signora degli Stati Uniti che parla con un rotondo accento francese stona parecchio.
Per quanto riguarda la suspence poliziesca, annotiamo che, forse, aver escluso dal titolo ogni accenno al lutto dimostra l’aver sottovalutato che la bellezza della storia sta proprio nelle riflessioni che Padre Brown, col solito geniale anticonformismo, svolge intorno ai sentimenti di chi subisce la perdita di una persona cara.
A tal proposito, invitiamo a confrontare il testo letterario di Chesterton col telefilm.
Rimandiamo un giudizio più compiuto sulla serie televisiva “sommersa” di De Sisti/Scavolini alla visione degli altri episodi.
Rino Casazza
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