Ho già raccontato di aver conosciuto il prete detective Padre Brown attraverso gli sceneggiati di Vittorio Cottafavi, andati in onda sulla TV pubblica italiana a cavallo tra la fine del 1970 e l’inizio del 1971 con il titolo “I racconti di Padre Brown”.
La scoperta dei racconti di Chesterton è stata una conseguenza.
Si può così ben capire come l’immagine dell’investigatore in tonaca sia per me indissolubilmente legata a Renato Rascel, che nella serie di Cottafavi impersonava il protagonista.
Ruolo che, per come Chesterton descrive fisicamente il personaggio, sembrava esser cucito addosso all’indimenticabile attore romano.
Per quanto riguarda il ruolo di Flambeau, l’ex ladro diventato assistente di Padre Brown, Arnoldo Foà suppliva con ineguagliabile mestiere alla mancanza di un fisique du rol adeguato all’imponenza, fuori dal comune, del personaggio.
“Father Brown”, la serie televisiva realizzata con successo dalla BBC a partire dalla stagione 2013, e protrattasi fino ad oggi, non ha molto a che spartire con quella di Cottafavi.
Ciò anche a prescindere dalle scontate differenze tra la televisione “autarchica” in bianco e nero degli anni 70 e quella internazionale, a colori e supertecnologica, dei giorni odierni.
Lo sceneggiato nostrano di 46 anni fa ricalcava uno schema comune, all’epoca, a tutte le trasposizioni di capolavori letterari per il piccolo schermo : scenografia essenziale, aderenza massima alla trama originaria, sceneggiatura sapientemente dosata per far rifulgere le qualità attoriali degli interpreti.
Rascel era dunque a tutti gli effetti un parroco “papista” nell’Inghilterra anglicana, e la cosa non stonava affatto allo spettatore italiano: un prete cattolico è inconfondibile, con la sua tonaca nera e l’obbligo del celibato, in qualsiasi contesto.
L’universalità del sacerdozio cattolico veniva esaltata nella sigla della serie, in cui Rascel/Brown, come in qualsiasi parrocchia di questo mondo, arbitrava in abito talare un’accesa e confusa partitella di pallone tra i ragazzi dell’oratorio.
Quanto agli intrecci, erano ripresi pari pari da famose avventure di Padre Brown. Spiccava un vero e proprio gioiello come “La forma sbagliata”, capolavoro assoluto nel genere dei “delitti della camera chiusa”.
Renato Rascel era eccellente nel rendere il disincantato acume di Padre Brown, che trova i colpevoli grazie alla sua profonda esperienza di pecorelle smarrite.
Il protagonista del “Father Brown” della BBC, Mark Williams, un omone bello florido, non assomiglia per nulla al personaggio di Chesterton, a parte la tonaca e il cappello d’ordinanza a falda circolare.
Flambeau, non c’è, sostituito da una attempata “perpetua” dai tratti di Miss Marple e da altri personaggi fissi dell’entourage parrocchiale.
Ci troviamo nell’Inghilterra degli anni 50, rappresentata con una fotografia da cartolina, ma non è la posdatazione di una trentina d’anni rispetto ai racconti di Chesterton l’elemento più anomalo, bensì l’ambientazione delle storie nella cittadina di campagna di cui Padre Brown sarebbe parroco, Kembelford nei Cotswolds.
Uso il condizionale perché, come i conoscitori della saga letteraria sanno bene, nessuno dei racconti di Chesterton si svolge nella parrocchia dell’Essex dove il Padre è assegnato, di cui non si fa mai nemmeno il nome.
Padre Brown, insomma, gioca sempre in trasferta, diventando doppiamente un pesce fuor d’acqua: perché prete fuori dal suo habitat normale, e perché investigatore.
Esplicito il rimando, nella serie della BBC, al microcosmo del “villaggio inglese”, che fa da sfondo alle gesta di Miss Marple: il nome della parrocchia di Padre Brown è, guarda caso, St. Mary, assai somigliante a quello, St. Mary Mead, della residenza dell’attempata zitella creata dalla Christie.
Sarebbe tuttavia ingeneroso sostenere che “Father Brown” sia un’azzardato tentativo di contaminare le atmosfere thrilling di Chesterton con quelle della “regina del giallo”.
Pur con tutti i distinguo già fatti, e aggiungendo che “Father Brown” si basa su sceneggiature originali ( la cornice troppo lontana dalle storie dello scrittore londinese impedisce di qualificarle come “apocrifi” chestertoniani), non si può certo dire che la serie televisiva inglese non centri la qualità fondamentale del personaggio, ovvero il suo saper guardare ai fatti dalla giusta angolazione, anche se non è mai quella più facile o apparente.
Vengono anche resi, con buona efficacia, il pessimismo storico ( molto manzoniano!) di Padre Brown, e il suo amaro umorismo.
La parte strettamente giallo-poliziesca degli intrecci è costruita con mano felice, tanto che c’è il rammarico che gli episodi non si distendano anche oltre i cinquanta minuti: il ritmo troppo serrato a volte nuoce all’ingegnosità della trama.
Rino Casazza
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