Esiste un filone narrativo, nell’ambito del giallo italiano, che ambienta le proprie opere durante il ventennio fascista, evidenziando luci e ombre di un periodo storico quanto mai controverso e, probabilmente, non ancora pienamente elaborato.
Ne fanno parte autori illustri e personaggi letterari entrati ormai stabilmente nell’immaginario collettivo dei lettori italiani, basti pensare a Carlo Lucarelli a al suo fortunato ciclo dedicato al commissario De Luca (approdato anche in televisione), a Maurizio De Giovanni col suo commissario Ricciardi, oppure ai tormentati detectives creati dalle penne di Leonardo Gori e Angelo Marenzana, solo per citare alcuni nomi. A sottolineare l’appeal di questo periodo, sotto il profilo narrativo, sono state anche due ben riuscite antologie come Fez, struzzi & manganelli (Sonzogno), curata nel 2005 da Gianfranco Orsi e Sbirri di regime (Bietti), pubblicata nel 2015 e curata da Gianfranco De Turris.
Insomma, un filone narrativo ricco e vivace, nel quale si inserisce autorevolmente Armando D’Amaro il quale, interrompendo il fortunato ciclo di romanzi dedicato al maresciallo Corradi, offre ai lettori un sorprendente thriller storico, Nero dominante (Frilli Editori), ambientato nella Genova del 1938 che si appresta a ricevere la visita di Benito Mussolini.
Già l’ambientazione è degna di sottolineatura, perché ci mostra una città, Genova, futura medaglia d’oro della Resistenza, in un momento in cui è invece perfettamente allineata in tutte le sue componenti al regime fascista imperante. Siamo nel pieno degli “anni del consenso”, è il periodo di massima popolarità del fascismo, uscito vincitore dalla guerra d’Etiopia e dalla prova di forza internazionale delle sanzioni economiche: è il periodo delle battaglie demografiche, della battaglia del grano, delle grandi opere di bonifica e l’antifascismo è costretto all’esilio oppure a vivere sottotraccia, come un fantasma, braccato dall’Ovra e dalla polizia.
Eppure qualcosa turba i sonni del commissario Boccadoro, uno dei funzionari chiamati a vigilare sulla sicurezza del duce. Una delazione, confermata da serie di circostanze oscure e inquietanti, lascia presagire che si stia preparando un gesto eclatante proprio a Genova e l’inchiesta che l’investigatore è chiamato a condurre diventa sempre più serrata e pericolosa, in quanto lo porterà a contatto con le diverse anime di una città e con le divisioni interne al regime, i giochi di potere, le trame di palazzo. Ed è qui che si rivela l’abilità di D’Amaro nel creare una polifonia di voci, un romanzo corale che, tassello dopo tassello, ricostruisce per il lettore il mosaico della Genova del 1938, di cui non restituisce soltanto l’aspetto esteriore, ma anche la mentalità, gli usi e costumi, con un’attenzione certosina per il dettaglio. Assistiamo alle telefonate di Mussolini con Claretta, ai discorsi del duce, ma anche alla semplice quotidianità di cittadini qualunque, e ogni dettaglio assume rilievo e importanza. Tutto ciò è il precipitato di un accuratissimo lavoro di ricerca, che impreziosisce la trama e non ostacola mai il ritmo narrativo, sempre sostenuto grazie a uno stile di scrittura diretto e avvolgente.
A dominare lo scenario resta, comunque, la figura del commissario Boccadoro, l’unico personaggio le cui vicende siano raccontate in soggettiva. Un investigatore acuto e scrupoloso, un affettuoso padre di famiglia, un uomo come tanti, forse, capace però di trasformarsi anche in un segugio scaltro e determinato, quando occorra. Un interessante “detective di carta” di cui attendiamo ancora nuove avventure