L’esito del voto politico in Gran Bretagna ha sorpreso tutti, e non mancherà di avere conseguenze sulla Brexit e dunque sull’economia europea. Vediamo quali.
Cominciamo col dire che il destino politico di Theresa May è indifferente per comprendere gli effetti sulla Brexit. La premier si è già recata dalla regina Elisabetta, prospettando un governo di coalizione fra i conservatori e i tory e gli unionisti-democratici dell’Irlanda del Nord, che metterebbe insieme una risicata maggioranza di quattro voti alla Camera dei Comuni. Potrebbe fallire, e in questo caso la palla passerebbe a Jeremy Corbyn. Ma non è molto importante. Chiunque sia il futuro premier, dovrà comunque vedersela con una situazione molto cambiata.
In campagna elettorale May ha promesso il muso duro con l’Europa, ma per i deputati nordirlandesi il primo problema è il confine con l’Eire, che è parte dell’Ue. Al momento attuale, grazie agli accordi del Venerdì Santo, il confine è meno ancora di una linea tracciata per terra. Un ubriaco che torna a casa dal pub lo attraversa (nel suo barcollare) sessanta o settanta volte, senza accorgersene. Ma questo sta per cambiare. Quando la Gran Bretagna sarà fuori dell’unione doganale, fra le due Irlande tornerà un confine vero, con tanto di guardie, controlli e tempi di attesa; nessuna unione doganale può funzionare se non si verifica che cosa entra od esce. La popolazione dell’Ulster questo non lo vuole, e la soluzione del problema rappresenta una priorità per tutti, anche per l’Ue. Ma non sarà facile rendere compatibile un confine “morbido” con un’unione doganale. Su questo punto Londra dovrà cedere parecchio, per esempio introducendo una dogana fra l’intera isola irlandese e la Gran Bretagna e lasciando l’Irlanda del Nord all’interno dello spazio europeo.
Il Labour vuole il riconoscimento unilaterale dei diritti degli immigrati europei. Il tema è anch’esso prioritario per l’Unione. Il futuro premier sarà troppo debole ai Comuni per potersi essere inflessibile con Bruxelles. Una parte consistente dell’elettorato vuole una Brexit morbida.
Anche sulla questione dei conti da saldare Londra dovrà piegarsi. Questi conti riguardano i programmi Ue che Londra si era impegnata a finanziare e per i quali non tutti i pagamenti sono già maturati; più le pensioni dei britannici che hanno lavorato nell’apparato europeo o nella politica (come ad esempio Nigel Farage…). Rifiutare in tronco provocherebbe una Brexit dura, con pesantissimi sacrifici per il popolo britannico; solo un governo con un mandato popolare molto forte potrebbe farlo, e non è il caso di Theresa May. Insomma, anche in questo le elezioni rafforzano la posizione europea, benché la disparità di potere contrattuale fra Gran Bretagna e Unione fosse già ampia anche prima.
Sui mercati finanziari ci vorrà del tempo perché gli operatori digeriscano le implicazioni della debolezza britannica. Il giorno dopo le elezioni, a caldo, la sterlina ha avuto alcuni sobbalzi quando è stato chiaro che ai Comuni non c’era una maggioranza precisa, ma si è trattato di movimenti da poco, conclusi con un arretrametno del 2% scarso rispetto all’euro. Però non è finita lì. Man mano che la situazione economica della Gran Bretagna peggiorerà, la sterlina perderà altro terreno. La decisione degli inglesi di andarsene dall’Ue, dura o morbida che sia la Brexit, si rivelerà sempre più per ciò che è: un colossale atto di autolesionismo. Paolo Brera