A dieci anni dall’apertura delle danze sul debito sovrano, come se la passano i Paesi europei a suo tempo colpiti dalla crisi? La risposta è: discretamente, grazie. Con l’eccezione della Grecia e di un Paese dove la crisi è stata strisciante e ancora bellamente striscia, l’Italia. Ma possiamo comunque dichiarare conclusa la turbolenza che ha preso l’Europa dopo il tracollo dei subprime.
Dei quattro Paesi che se la sono vista brutta, due, Irlanda e Spagna, sono quelli che possono dire di essersi lasciati tutto alle spalle. L’uno e l’altro erano entrati nella turbolenza con una situazione simile: finanza pubblica in ordine, basso debito dello Stato, ma un settore edile in preda all’euforia che aveva costruito centinaia di migliaia di appartamenti di troppo e aveva squilibrato il settore del credito. Ne è seguita una crisi bancaria che in entrambi i Paesi è stata affrontata a suon di denaro pubblico. Il riequilibrio ha dunque avuto conseguenze sulle finanze pubbliche, conseguenze che non sono ancora del tutto rientrate.
Il governo irlandese ha sostenuto le banche con 64mrd di euro, prendendo soldi a prestito dall’Unione Europea e poi, una volta terminato il risanamento, dai mercati finanziari. Il debito ha toccato un massimo oltre il 120% del pil nel 2012 ed è caduto al 75,4% nel 2016, grazie a una crescita economica rapidissima che ha visto per tre anni l’Irlanda al top del dinamismo europeo. Per abitante, il debito irlandese resta comunque il più alto in Europa, a 43.054 euro.
Il debito spagnolo è più basso per abitante di quello tedesco, ma rispetto al pil negli anni scorsi è venuto crescendo ogni anno ed è adesso il 99,4%. In entrambi questi Paesi, in ogni modo, la crescita rapida promette una riduzione spedita del debito in rapporto al pil, il che si riflette, per esempio, nel fatto che sui bonos decennali il differenziale dei tassi d’interesse rispetto ai decennali tedeschi si mantiene inferiore di almeno mezzo punto allo spread italiano (nel 2016, del resto, la Spagna è tornata a superare l’Italia nel pil pro capite). Il recente annuncio che lo Stato irlandese privatizzerà il 25% di Allied Irish Bank, che era stata nazionalizzata ed è oggi risanata, mette simbolicamente la parola fine alla vicenda della crisi finanziaria nell’isola atlantica. Lo Stato ne esce, addirittura, con un significativo utile su un incasso di 3 mlrd di euro, che ridurranno il debito irlandese dell’1% del pil.
Il Portogallo ha vissuto una crisi più conforme ai pregiudizi nordeuropei sul Mediterraneo, con una crisi del debito pubblico che ha portato all’arretramento del pil e all’ingresso in un piano di salvataggio. Dopo un intero triennio di austerità e recessione, l’economia ha ripreso a crescere, anche se debolmente, negli ultimi tre anni – 0,9 % nel 2014, 1,5 % nel 2015 e 1,4 % l’anno scorso, con una previsione di 1,8% per l’anno in corso — ma il deficit pubblico è gradualmente rientrato nella norma (2% nel 2016) e a fine maggio la Commissione Europea ha raccomandato di abbandonare la procedura per deficit eccessivo.
Restano, come problemi, il sistema bancario e il peso del debito (130,4% del pil nel 2016). La ricapitalizzazione della banca di Stato Caixa Geral de Depositos, comportando una spesa pari all’1,1% del pil, farà passare il deficit pubblico al 2,8%, ma secondo Fitch già nel 2018 si scenderà all’1,4. Anche Cipro asembra aver completato la ristrutturazione del suo sistema bancario e dal 2015 conosce una crescita positiva (1,5% in quell’anno e 2,8% nel 2016). Nel mazo 2016 è uscita dal programma di salvataggio della Trojka.
Dove di risanamento ormai concluso non si può proprio parlare è in Grecia. Qui l’austerità imposta come condizione per sostenere il Paese ha inflitto all’economia anni di arretramento, anche se la previsione per il 2017 è per un aumento del pil del 2.1% dopo la variazione zero dell’anno scorso. Anche nel caso della Grecia, tuttavia, le paure degli anni scorsi sono rientrate: cinque o sei anni fa si temeva che la crisi greca avesse il potenziale per deragliare l’euro, oggi l’Europa pensa semplicemente che bisogni prestare al problema la dovuta attenzione. Nel corso di quest’anno il Paese dovrebbe conoscere un tasso di crescita del 2,1%, più alto della media europea.
Tirando le somme, si può affermare che l’Europa, nel complesso, è ormai fuori dai contraccolpi della crisi dei subprime. Il debito sovrano è in salvo, le uniche cattive notizie potrebbero provenire dall’Italia, che s’altra parte, chissà perché, a chi scrive sta particolarmente a cuore. Sed de hoc postea, in qualche futuro blog.