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Le Storie di Alex Rebatto – 1981

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Quello che ricordo è di essere precipitato a lungo. Le mani che cercavano di afferrare un appiglio, i piedi scalciare. Gli occhi, sempre più circondati da un vortice d’oscurità.
Quando mi fermai il cuore mi batteva all’impazzata, come un cavallo al galoppo. Le mie spalle erano bloccate, in una strettoia viscida d’acqua e muschio. Una puzza di marcio. Il respiro s’inerpicava lungo i polmoni, in uno spasmo doloroso. Le lacrime presero a scivolarmi sulle guance.
Provai a singhiozzare senza riuscirci. Non che mi volessi sforzare, ma neppure un urlo, da principio, volle evadere dalla mia confusa prigionia.
Attorno a me nient’altro che silenzio e oscurità.
Sollevai gli occhi in alto e per un attimo, tra la salmastra disperazione, vidi un punto luminoso.
Il sole m’indicava la via di fuga. Causa e soluzione in un’unica occhiata.
Non appena riuscii a riacquistare un briciolo di lucidità trassi un profondo respiro e urlai l’unica parola che, in quel momento, sembrava rappresentare un’ancora di salvezza.
Papà.
Lo urlai talmente tante volte da farmi bruciare la gola.
Papà!
Papà!
Papà!
Poi mi resi conto di aver terminato il fiato e le energie.

Quando riaprii gli occhi tornai a sollevare lo sguardo. Il sole era stato sostituito da una luce intensa, fasulla. Un lontano, lontanissimo, vociare che assomigliava solo ad un sussurro concitato. Un rumore sordo, intermittente, come di un elicottero in atterraggio.
Papà, urlai ancora.
La luce fasulla si oscurò per un istante.
Una voce rimbalzò sulle pareti della mia prigione e mi giunse alle orecchie come un tuono confuso, indecifrabile.
Mi facevano male le spalle. Era come trovarsi bloccati in una scatola di legno. In una bara, pensai rabbrividendo.
Ne avevo sentito parlare da mamma, qualche mese prima. Il vecchio nonno, lo avrò visto forse un paio di volte, era morto di notte nel suo letto. Mamma aveva pianto per una mattina intera. “Ora lo metteranno in una cassa di legno. In una merdosa cassa di legno” e aveva ripreso a singhiozzare.
Una merdosa cassa di legno, proprio così aveva detto.
Una voce dal cielo aveva urlato qualcosa. Le parole mi erano arrivate ancora incomprensibili.
Provai a gridare ma la gola sembrava stretta in una morsa, come le spalle. Mi sforzai invano.
Vidi quelle che sembravano due stelle, poi di nuovo il buio e un soffio d’aria calda.
Ordinai alle gambe di scalciare ma rimasero immobili, come quel giocattolo di Topolino che mi aveva regalato papà l’estate prima.
“Non sembrano rotte” aveva detto lui grattandosi la testa, poi se n’era andato in cucina a sistemare il ripiano pericolante delle spezie.
Inghiottii della saliva ma sulla lingua c’era solo sabbia.
Chiusi gli occhi e strinsi i denti.
“Ora Tommy verrà qui a tirarmi fuori” sussurrai in quel poco di sibilo d’aria che mi restava da sfruttare. “Si calerà quaggiù con una delle sue corde da cowboy e mi prenderà per le spalle, poi con un salto fantastico saremo di nuovo fuori, tra le stelle, con papà e mamma che piangeranno e mi abbracceranno.”
Poi mi volterò e Tommy sarà sparito, come sempre. Com’è giusto che sia.
Mi lasciai cullare da quell’immagine e sprofondai di nuovo nel buio.

Mi svegliai con un rumore alle mie spalle. Sembrava che qualcuno stesse grattando sopra di me, ma altrove.
Gli occhi mi facevano male. Faticavo a tenerli aperti. Non che ci fosse nulla da vedere ma avrei tanto, tanto, voluto stropicciarmeli.
“Dovremmo considerare di metterti gli occhiali, se va avanti così” aveva detto papà.
La gola mi bruciava sempre di più. Era come se un fiume di lava mi scivolasse in gola ogni volta che cercavo d’inghiottire saliva.
Il petto era un turbine di rimbalzi, tra il respiro trattenuto e delle fitte prima lievi e poi decise.
“Tommy” provai a dire senza riuscirci “Dove sei?”
“Ehi, piccolo. Come stai?” sobbalzai, per quanto possibile.
Sollevai la testa lentamente e vidi solo il buio.
“Mi fa male” dissi in un urlo.
Tommy dovette sentirmi perché rispose di stare tranquillo. La cavalleria mi avrebbe tirato fuori presto.
“Ho paura” aggiunsi.
“E’ normale” fece il mio eroe “Ma ti stai comportando…”
Poi non sentii più nulla. Lo sforzo mi fece dondolare i sensi e fui di nuovo solo.

In sogno provai la sensazione di una corda che mi cingeva le spalle.
“Tommy” mossi le labbra.
Sollevai le braccia, pronto a saltare fuori dalla prigione ma provai una fitta. Me le aveva strappate via.
Le gambe si liberarono per un istante, ne approfittai per aprire gli occhi, poi la morsa mi riagguantò per i fianchi e tutto fu di nuovo silenzio.
Tommy gridò quella che sembrava essere una bestemmia.

Forse respirai ancora qualche minuto.
Forse no.
Sentii solo un soffio di vento accarezzarmi una guancia e una ninna nanna affievolirsi nella memoria.
Buonanotte.
E buon viaggio.

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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