Nel marasma dell’editoria capita, di tanto in tanto, di ritrovarsi davanti (specie sui vari social) l’annuncio di un’illuminata nuova casa editrice pronta ad offrire speranze alle nuove leve della letteratura. Incuriosito, mi sono soffermato a scorrere tra i commenti sottostanti e, guarda guarda, mi si è aperto un mondo apparentemente oscuro anche se prevedibilmente attuale e, forse, un po’ patetico.
Cosa succede quando una delle suddette, o cosiddette, case editrici si offrono di valutare le tue opere?
Semplice. Ecco il meccanismo:
Tu invii il tuo manoscritto (sudatissimo e gocciolante sogni di gloria), loro fingono di essere interessati (“si nota in lei una dote straordinaria”) e poi parte il business.
Per loro, sia chiaro, non per te.
Ci sono tariffe per tutti i gusti.
Sei sicuro che la tua memorabile opera sia perfetta dal punto di vista della sintassi?
No? Ecco il prezzo per il servizio editing.
Come preferisci la copertina? A colori o in bianco e nero? Titolo in rilievo? Quello costa qualcosina in più.
Ma veniamo al fulcro della faccenda, caro il mio Dickens moderno: quante copie sei in grado di pagare?
Già, perché il servizio in questione non è propriamente gratis. Anzi, non lo è affatto.
La casa editrice, improvvisamente tramutata in tipografia, ti fa credere qualsiasi cosa. Alimenta le tue speranze, racconta di rapporti stretti con La Feltrinelli, millanta successi mondiali che vengono ridimensionati in un nanosecondo con due semplicissimi click, e poi?
Poi i tuoi sogni te li devi pagare.
Parliamoci chiaro. L’Italia, anzi il mondo intero, è popolato quasi esclusivamente da grandi scrittori incompresi, grandi cantanti incompresi, grandi calciatori, grandi ballerine e via discorrendo.
Sembra incredibile, assurdo, che non esista una sola mente illuminata in grado di comprendere e sostenere il nostro immenso valore.
Ed è proprio per questo, per farvi credere di avere una possibilità, che nascono come funghi quelle che non sono altro che illusioni cartacee.
Da questo punto di vista è molto meglio il self-publishing. E’ più democratico, come il crowdfunding.
E’ doloroso, gente, ma è proprio così.
Quindi le possibilità sono poche, molto poche, per riuscire ad emergere dall’oceano di parole in burrasca che ci circonda:
1. Riuscire a raggiungere qualche importante casa editrice.
2. Pubblicare online.
3. Pagare per pubblicare fingendosi uno scrittore.
Il primo punto è ovviamente il più difficile, quasi proibitivo. Certo, avere qualche parente con gravi handicap o qualche tragedia familiare su cui poter speculare, specie di questi ultimi tempi, aiuta tanto.
Ma per il resto, non c’è altro da fare che affidarsi al fato e continuare a considerare la scrittura non solo come un’arte, ma anche come un semplice passatempo.
E smettiamola, ad ogni parola buttata giù, di crederci scrittori.
Consideriamoci tutti, dal primo all’ultimo, semplici ed innocenti scribacchini.
Solo così potremo tornare a sorridere nell’immaginarci il protagonista del nostro cruento romanzo giallo inciampare su una buccia di banana.
E solo per quel motivo sarà valsa la pena perdere qualche ora con la faccia illuminata da uno schermo.