I sondaggi mostrano che gli americani sono incoerenti nelle loro opinioni, perché gli piace il libero commercio ma anche la difesa dei posti di lavoro nel loro Paese. Ma in realtà non sono i soli: tutti i movimenti populisti sono incoerenti sul piano economico.
L’abbiamo tutti sotto gli occhi: l‘opinione pubblica assume volentieri atteggiamenti internamente contraddittori: in ogni campo, ma specialmente nell’economia. La tetra scienza infatti è implacabile nell’imporre i suoi vincoli di bilancio e le sue relazioni ben definite tra le variabili che studia, ma la gente non se ne vuole dare per intesa.
Un recente articolo di Robert Samuelson sul Washington Post spiega uno dei misteri della politica populista in America: il culto del libero commercio… ma solo in teoria. Da 24 anni la Gallup ripete lo stesso sondaggio, chiedendo a un campione rappresentativo della popolazione americana se vede il commercio come una “opportunità” oppure come una “minaccia”. Il più recente di questi sondaggi mostra che il 72% risponde “opportunità”, il 23% “minaccia” – e il resto, evidentemente, non ci ha mai pensato e non sa che cosa rispondere.
Quel 72% è la percentuale più alta da che esiste il sondaggio. E viene pochi mesi dopo che il popolo americano ha eletto un presidente protezionista. Come interpretare questa clamorosa mancanza di coerenza? Con un riflesso pavloviano, per cui ogni volta che si nomina il libero commercio bisogna associare qualcosa di positivo? O semplicemente come una manifestazione in più della fondamentale illogicità che – nel bene e nel male… sì, anche nel bene, a volte – caratterizza l’essere umano?
Si possono trovare sondaggi che confermano tutto e il contrario di tutto. A volte è una questione di parole: le stesse persone che si pronunciano a favore del commercio in quanto tale mostrano di apprezzare “la difesa dei posti di lavoro americani” che vengono insidiati, per l’appunto, dal libero commercio.
La conclusione di Karlyn Bowman ed Heather Sims, autrici di un libro sui sondaggi, è che gli americani «hanno sul commercio opinioni chiare (e contraddittorie)». Fa parte dell’ottimismo a tutti i costi che è così tipico del carattere nazionale: pensano che gli Stati Uniti cattureranno i mercati esteri, ma che i maledetti stranieri non cattureranno il mercato americano.
Nel complesso, dice Samuelson, gli americani sembrano favorevoli all’apertura economica e ostili al protezionismo, «ma questa convinzione è debole e soggetta a numerose qualificazioni.» Gli atteggiamenti degli americani sul commercio sembrano confusi, incoerenti e incostanti perché (è sempre Samuelson a parlare) gli americani stessi sono confusi, incoerenti e incostanti. Il gioco di specchi della lotta politica fra i partiti sposta le convinzioni di enormi gruppi della popolazione senza che necessariamente le posizioni espresse acquisiscano coerenza.
Come del resto succede qui in Europa, dove sui temi economici gli atteggiamenti dei movimenti populisti (e non solo di quelli) sono spesso contraddittori. Tali atteggiamenti oscillano come banderuole al vento. Solo che qualche volta possono, prima di svanire, dare luogo a qualche azione concreta, e allora i risultati non sono buoni, perché l’impatto con qualche “contraddizion che no’l consente”, quando infine arriva, è sempre rovinoso. Non sono del resto solo gli odierni populisti a prestare il fianco a questa critica: negli anni Ottanta François Mitterrand, in Francia, cercò di stimolare l’economia con la spesa pubblica: ne risultò uno squilibrio della bilancia commerciale che dovette essere corretto con anni di rigueur.
Un’economia aperta infatti non si concilia con gli stimoli keynesiani, perché esiste un vincolo esterno – ma i socialisti francesi non lo capivano. Né negli stessi anni ci capiva molto, in Polonia, la leadership del movimento insurrezionale Solidarność, che aveva ragione da vendere in fatto di diritti civili ma sbagliava in modo marchiano per quel che riguarda l’economia e la geopolitica. Avere tutto insieme salari alti, enormi debiti esteri e meno esportazione di prodotti che sono scarsi sul mercato interno non si poteva, così come non era possibile essere nel blocco sovietico e avere piena libertà di espressione; il nodo è stato poi sciolto dal generale Wojciech Jaruzelski, al quale nell’insieme il popolo polacco deve essere riconoscente se la Polonia ancora non è perduta.
Oggi in vari Paesi forze populiste propongono l’uscita dall’Unione Europea o dall’euro: vogliono i salari alti del Mercato Unico senza il Mercato Unico fra le balle. La Brexitania di Theresa May abbandona la più grande area di libero commercio del mondo per diventare, ipsa dixit, “un bastione del libero commercio mondiale”. La botte piena e la consorte ebbra, ovvero, come dicono ancora più umoristicamente i francesi, il burro, i soldi per il burro e il sorriso della lattaia. Fra qualche anno, quando tutti avranno potuto vedere i costi orrendi della Brexit sull’economia britannica, non se ne parlerà più. Ma se qualcuno nel frattempo si sarà indotto a seguire l’esempio della Gran Bretagna, povero lui!