“I delitti di Varese” di Laura Veroni, edito da Fratelli Frilli, giallo di provincia persino troppo radicato nella pur bellissima città lombarda, ha una trama così complessa e avvincente che è opportuno non soffermarvisi, lasciando al lettore il piacere di gustarla senza anticipazioni.
Meritano invece una menzione speciale, nella vasta e variegata galleria di personaggi del romanzo, le due protagoniste, di cui si preannunciano altre collaborazioni in futuri sequel.
Elena Macchi è un Pubblico Ministero che contraddice apertamente allo stereotipo della donna magistrato come tende a presentarcela la fiction nostrana, ovvero femminile e sensibile, una sorta di controcanto in un ambiente dominato dalla durezza e dall’ aridità maschili.
Nossignori: la dottoressa Macchi è scostante, esteta e libertina.
Con testimoni ed indagati, ed anche coi colleghi, si pone in modo provocatorio e aggressivo, tanto da riuscir loro odiosa e ciò, ben lungi da rappresentare per lei un problema, le permette di condurre l’inchiesta con penetrante, spietato distacco. E successo professionale assicurato.
La dottoressa Macchi ha una cura attenta, quasi maniacale del proprio fisico, che coltiva sia dal punto di vista atletico, con costanti sedute in palestra, sia dal punto di vista dell’avvenenza muliebre.
All’occorrenza, a seconda della situazione e dell’abbigliamento (riguardo al quale ha gusti raffinatissimi) può diventare un’efficiente donna d’azione o una spettacolare “sventola”.
E’ single, per deliberata ribellione verso l’ipocrisia matrimoniale dei suoi genitori, ma sessualmente vivace, pur non mancando mai di chiudere la porta in faccia alle sue occasionali conquiste maschili.
Volendo riassumere, un monumento vivente all’emancipazione femminile.
Poi c’è Silvia Mameli, psicologa forense esperta in serial killer.
Anche lei avvenente, formosa “zitella” tutta dedita al lavoro, nel quale è meritatamente considerata un pozzo di scienza, tanto che Procure e televisioni si contendono la sua illuminata collaborazione.
La Mameli è lontana dall’asprezza “mascolina” della Macchi ma dietro il suo aplomb di competente studiosa si cela la risorsa di un’irrequieta, forse indifesa ma proficua ricchezza umana, perché uno psicologo per riuscire nel proprio mestiere, che consiste nel comprendere l’anima altrui, deve esser capace di mettere in gioco se stesso.
E la Mameli da questo punto di vista non si tira indietro.
Insomma, un’adorabile problematica vedetta sui lati oscuri dello spirito.
Rino Casazza