Oltre Manica, alcuni cominciano a dire che l’Art. 50 potrebbe essere revocato e la Gran Bretagna potrebbe rimanere un membro dell’Unione. Ma ormai questo non sarebbe più nell’interesse dell’Europa
La decisione di invocare l’Art. 50 del Trattato di Lisbona e uscire dall’Unione Europea, in Gran Bretagna, è stata presa in séguito a un referendum in cui hanno votato per l’uscita 52 portatori di voti validi su 100. La minoranza sconfitta, i Remainers (Restatori), non ha però cambiato idea, e alcuni dubbi hanno preso ad emergere anche fra i Leavers (Abbandonatori), molti dei quali non volevano la Brexit Dura che si sta profilando. Alcune forze politiche hanno agitato l’idea di revocare, prima della fine delle trattative, la decisione di uscire dall’Unione: questo se l’accordo prospettato da Theresa May e Michel Barnier dovesse essere respinto dalla Camera dei Comuni. La logica di un’azione del genere, dal loro punto di vista interno, è di fare marcia indietro qualora l’opinione pubblica si dovesse rendere conto che l’uscita non è vantaggiosa come era sembrata al momento del referendum.
Tuttavia una simile eventualità non riguarderebbe solo la Gran Bretagna, ma anche l’Unione Europea. A questo punto le cose si complicano. Sarebbe stato un vantaggio per l’Ue se la Gran Bretagna non avesse deciso di uscire, ma non sarebbe affatto vantaggioso se Londra dovesse nei prossimi due anni comunicare che aveva scherzato, che non se ne fa nulla e il Paese rimane membro dell’Unione.
Gli operatori economici infatti si troverebbero in seria difficoltà. Il loro adattamento alla Brexit si presenta già come difficile, ostacolato com’è dalla mancanza di informazione riguardo a quello che sarà o non sarà possibile fra due anni. Le imprese stanno aspettando di farsene un’idea, pur sapendo che sarà sempre e solo un’idea di massima e aleatoria, ma nel corso del 2018 di sicuro cominceranno a spendere per l’adeguamento previsto. Se la Gran Bretagna tornasse indietro, quei soldi e quegli sforzi risulterebbero tutti buttati. Le scelte strategiche compiute con l’idea che la Gran Bretagna non sarà più un membro non sarebbero più quelle ottimali.
Quanto reale è questa eventualità? David Davis, un ministro abbandonatore con qualche potere in proposito, dice che la questione non è assolutamente attuale sul piano politico: non avverrà mai, la volontà popolare è stata chiara. Ma si sa, i politici possono sempre cambiare idea, per loro “mai” può sempre diventare sinonimo di “la settimana prossima”. Un avvocato britannico, Jolyon Maugham, ha aperto un caso presso un tribunale di Dublino (in Irlanda) per ottenere che il quesito sia portato davanti alla Corte di Giustiza Europea: questa infatti non può esprimersi su questioni ipotetiche, deve essere interessata da un giudice riguardo a un caso concreto. Lo scopo è di dare al primo ministro britannico il potere di revocare il ricorso all’Art. 50, quando la Camera dei Comuni dovesse respingere la bozza di accordo negoziata da Londra e Bruxelles. Maugham, un restatore, non è nel governo e non può decidere in prima persona di bloccare il processo della Brexit, però vuole posizionare le sue carte perché la cosa sia almeno possibile.
Ma lo è? Il caso vuole che l’estensore dell’articolo sia un inglese, Lord Kerr of Kinlochard, e secondo lui la revoca è ammissibile. Durante il periodo di negoziazione, ha detto, «se un Paese dovesse decidere “In realtà non ci va di andarcene, dopo tutto” tutti si arrabbierebbero molto per la perdita di tempo, e magari cercare di far pagare un prezzo politico, ma sul piano legale non potrebbero insistere perché se ne andasse».
È chiaro che se questa possibilità ci fosse, si spianebbe la strada perché qualunque Paese insoddisfatto della sua posizione nell’Unione invocasse l’Art. 50, facendo perdere all’Unione tempo soldi ed energia, e se poi non riuscisse ad avere buone condizioni di uscita ritirasse la decisione, magari riuscendo anche a spuntare condizioni migliori come membro. Paesi nazionalisti come la Polonia o l’Ungheria non esiterebbero troppo ad approfittare di questa possibilità per fare pressione sull’Unione.
Per questo motivo la scorsa settimana il Parlamento europeo ha passato una risoluzione che recita: «La revoca della notifica deve necessariamente essere soggetta alle condizioni poste dei Ventisette, in modo che non possa essere usata come un accorgimento procedurale o abusata nel tentativo di migliorare i termini reali della partecipazione del Regno Unito all’Unione come Paase membro». Essendo però una semplice risoluzione del Parlamento, posteriore alla notifica e non dotata della forza normativa di un Trattato fra Stati sovrani, non sembra che possa essere opponibile a un’eventuale presa di posizione britannica per bloccare l’uscita. Resta da vedere in che modo la Corte di Giustizia Europea si pronuncerà al riguardo.
La questione è urgente. Lord Kerr ha detto che mentre stendeva il testo dell’Art. 50 non pensava che sarebbe mai stato invocato. Questa ammissione ci dice che probabilmente non è stata fatta, a suo tempo, alcuna ricerca sulle norme giuridiche applicabili per così dire “al contorno”. Nell’Articolo non si parla di revoca, e non è chiaro quali norme si applichino. Per dare agli operatori economici una minima certezza sul futuro che li attende, è opportuno che arrivi in fretta una pronuncia della Corte di Giustizia.
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