L’isola di Maiorca non è sempre stata solo una destinazione turistica: nei secoli è stato un importante crocevia mercantile a uso dei fenici e poi dei cartaginesi, che incorporarono nel loro esercito i temibili frombolieri delle Baleari, maestri nell’uso delle fionde. Non abbastanza micidiali, tuttavia, da fermare i romani quando occuparono l’intero arcipelago. A loro seguirono i vandali e poi – incursione dopo incursione – i mori, che avrebbero lasciato traccia della loro presenza anche nella toponomastica locale: mahalluf o magalluf potrebbe essere uno dei tanti nomi di origine araba. Come a suo tempo da parte dei pirati moreschi, la costa subì nei secoli gli assalti e le razzie dei normanni, dei turchi e dei catalani alleati per l’occasione con i pisani. Gli aragonesi sbarcarono a Maiorca nel XIII secolo, conquistandola e portandovi la lingua catalana, che si sarebbe poi evoluta in modo autonomo in un idioma locale influenzato non solo da dialetti preesistenti e dall’arabo, ma anche dalle varie lingue del Mediterraneo; tant’è che il maiorchino ebbe volumi di grammatica e dizionari in stampa fin dal 1496 e si differenzia tuttora in molti aspetti dal catalano.
Per circa cento il Regno di Maiorca riunì le isole Baleari, l’Aragona, la regione catalana della Cerdanya e parte del sud della Francia. Poi divenne parte integrante della Spagna, anche se vide il passaggio degli inglesi (che ebbero il controllo della vicina Minorca) e una breve dominazione francese. Nell’estate del 1936 arrivò l’Italia fascista a dar man forte al generale ribelle Francisco Franco: per tutta la Guerra Civile, Maiorca fu sotto il controllo degli italiani, che oltre a farne una base aeronavale pare si siano dedicati ad arresti in massa ed esecuzioni di dissidenti. Forse è per questo che di tale periodo non si parla molto. La presenza militare italiana diminuì alla fine della Guerra Civile, ma si protrasse fino al 1941. La dittatura durò invece fino alla morte di Franco, nel 1975, lasciando il passo alla monarchia con Juan Carlos I di Borbone e alla Transizione, che portò alla costituzione democratica del 1978.
Con essa venivano liberalizzate le lingue locali, represse durante la dittatura per motivi nazionalistici. A Maiorca però non venne riconosciuto il maiorchino, bensì il catalano, in aggiunta allo spagnolo, quest’ultimo parlato non solo da tutti gli autoctoni ma anche dai numerosi lavoratori giunti da altre regioni della Spagna (e oggi dai numerosi immigrati dall’America latina). Dal 1979 è in atto una crescente colonizzazione monolinguistica per mano dei catalanisti, che hanno imposto la loro lingua non solo come insegnamento nelle scuole, ma anche di insegnamento per tutte le materie, con conseguente discriminazione dei madrelingua spagnoli; ai quali non è consentito svolgere certi lavori – per esempio il netturbino a Palma di Maiorca – perché per essere assunti ora è richiesta la conoscenza del catalano.
Ciò non toglie che le lingue più parlate sull’isola, dato che il turismo è l’attività principale, rimangano lo spagnolo e l’inglese. Quest’ultimo in particolare nell’area di Palmanova e di Magalluf, dove la presenza straniera è soprattutto britannica. Specie nella famigerata calle Punta Ballena, per cui la zona è esageratamente famosa, distraendo da tutto il resto i media in cerca di scandali. Nei miei video vi faccio conoscere anche gli aspetti non a misura di teenager britannico. Una “Magalluf Italian Style”, appunto.
Andrea Carlo Cappi
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