Dalla riuscita dell’aumento di capitale di Deutsche Bank dipende la ripresa della fiducia nel sistema bancario europeo
Archiviata la storica ricapitalizzazione di UniCredit, la più grande mai verificatasi in Europa, adesso è il turno di Deutsche Bank: l’aumento di capitale è in corso e si chiuderà il 4 aprile. È meno grande di quello della consorella: la banca tedesca sta chiedendo al mercato 8 miliardi di euro, di cui 7,2 miliardi solo per coprire la megamulta irrogata dalle autorità americane per il ruolo di Deutsche nella vendita a tappeto di derivati tossici, basati sui mutui subprime. Dall’esecuzione più o meno completa di questo aumento dipende la normalizzazione del sistema bancario europeo. Deutsche infatti è giudicata oggi la principale fonte di pericolo per la finanza mondiale a causa della sua maxi-esposizione nei derivati a più alto rischio.
Non è la prima volta che Deutsche domanda miliardi in giro. Nel 2010 ne aveva già ramazzati 10 , nel 2013 altri 3 e nel 2013, 8,5. Con gli ultimi, fanno 29,5 miliardi in sette anni. Il tutto dopo diversi esercizi in perdita, fra cui troneggia il 2016, quando la banca ha lasciato sul campo 14 miliardi di euro. Un gigante dai classici piedi d’argilla.
I piedi deboli del gigante non sono i crediti dubbi, ma le masse di derivati finanziari sui quali opera: il loro valore complessivo è 46.000 miliardi, circa 13 volte il pil tedesco. I derivati non sono tutti semplici da capire, perciò il loro valore nozionale spesso non è realistico, ma indipendentemente dal fatto che ai media piacciono molto le cifre roboanti, la massa di derivati di Deutsche potrebbe benissimo destabilizzare l’intera economia mondiale. Per questo Deutsche è impegnata da tempo in un gigantesco esercizio di stabilizzazione, con vendita di attività non-core, esuberi, chiusura di agenzie, e aumento di capitale per portare il capital ratio sopra il 13%.
Appunto perché rappresenta un rischio sistemico, Deutsche ha avuto dalle autorità un occhio di riguardo al momento degli stress test: nei conti le è stato permesso di contabilizzare un contratto fatto dopo l’anno di riferimento e il cui effetto economico doveva ancora manifestarsi al momento del test. Come dire che quod licet Jovi non licet bovi, dove i buoi sono prima di tutto le banche italiane come il Montepaschi o le due venete oggi alla canna del gas.
Auguriamoci che la ricapitalizzazione vada a buon fine, come quella di UniCredit. Anche Deutsche, del resto, ha messo insieme un consorzio di garanzia di pesi massimi, trenta banche fra cui Credit Suisse, Barclays, Goldman Sachs, Bnp Paribas , Commerzbank , Hsbc, Morgan Stanley e la stessa UniCredit. Il successo formale è garantito, quello sostanziale verrà solo se il consorzio rimarrà ai margini, sopraffatto da uno tsunami di investitori minori. Perché questo vorrebbe dire che il famoso mercato ricomincia a credere nelle banche. Sarebbe anche ora, no?