“L’illusionista” ultimo romanzo della “trilogia di Rho” di Edoardo Montolli, rappresenta, stilisticamente e narrativamente, il culmine della serie.
I primi due romanzi, anch’essi notevoli, “Il boia” e “La ferocia del coniglio”, di recente riproposti in digitale da Algama, utilizzano la stessa formula, ovvero il mystery/ thriller costruito intorno a scabrosi temi d’attualità, oggetto a latere di incisive inchieste giornalistiche da parte dello stesso Montolli.
Ne “Il Boia” sono le sette sataniche, ne “La ferocia del coniglio” gli “snuff movies”, ovvero i film porno a base di violenza vera.
Nell’illusionista la storia si immerge nel mondo della vivisezione e del suo sorprendente, poco conosciuto, contrario: le azioni fuorilegge degli animalisti contro i vivisezionisti.
Come negli altri capitoli della trilogia, Montolli ricorre a un misto di narrazione in prima e in terza persona, creando un mosaico di angolazioni narrative che alimenta la tensione.
L’effetto sul lettore è quello di un continuo “spiazzamento”, con una trama che si evolve attraverso aggiustamenti e sempre nuove complicazioni che si ricompongono ad unità solo nello scioglimento finale.
Ne “L’illusionista” questa formula narrativa che potremmo definire “caleidoscopica” viene elevata all’ennesima potenza con una trovata apertamente metaletteraria: leit-motiv della vicenda è, infatti, il dubbio che il vertiginoso, contraddittorio susseguirsi di eventi nasconda la “tecnica del labirinto”, ovvero un complotto diabolico ordito per incastrare il protagonista mettendolo in una situazione in cui, da qualunque parte si rigiri, non riuscirà ad evitare d’essere incriminato per delitti che non ha commesso.
Non c’è dubbio che in questo labirinto senza uscite si trovi impaniato non solo il personaggio, ma anche il lettore, indotto a voltare le pagine per cercare di raccapezzarsi in quello che sta succedendo.
In questo caos angoscioso che, colpo di scena dopo colpo di scena, precipita verso la fine, si incastonano le gemme di personaggi veramente indimenticabili, caratterizzati con una cura e una profondità raramente riscontrabile nel genere thriller.
Ne citiamo alcuni.
Il Commissario Boe, l’ “antipoliziotto” per eccellenza, ovvero uno sbirro di razza che, deviato dalla “corruzione ambientale”, usa ormai senza alcun rimorso la sua abilità per il proprio tornaconto.
Il Giudice in pensione Spadafora, che racchiude in sé tutta la nobiltà e insieme tutta la pericolosa paranoia del mestiere di magistrato.
Cesarino Soprani, un anziano capo gang che, con un salto mortale da genio, è riuscito a fare della redenzione sociale degli ex carcerati una perfetta organizzazione per delinquere.
Rino Casazza
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