A Palazzo Reale in mostra un eterno giovane artista di nome Keith Haring. Un disegnatore compulsivo che sin da bambino comincia ad imitare gli schizzi del padre che disegnava per lui personaggi di cartoni animati.
Keith Haring è inarrestabile, dipinge ovunque.
Difficile vedere rinchiuso nelle sale di un museo quell’artista che voleva “l’arte per tutti”, che disegnava nella metropolitana, sui muri e su qualsiasi tipo di altra superficie. Lui che non amava i limiti, forse nemmeno li apprezzava per superarli. Haring, amico di Basquiat e di altri artisti della Grande Mela, sperimenta la strada, l’alcool e la droga. Ma non si disperde. Per tutta la sua vita non si allontana mai dalla sua grande passione che è l’arte. Colori forti, saturi e decisi come giallo, rosso, blu, verde e nero. Topolini che si relazionano con i dollari, bombe nucleari che cadono dal cielo, uomini che si agitano virgolettando i contorni o si illuminano producendo raggi, una lupa romana coloratissima che si ritrova davanti all’originale dei Musei Capitolini. Un viaggio nel colore che sembra allegro, spensierato ed infantile, ma nasconde la profondità della sofferenza degli uomini che sono presenti nel proprio tempo. Un’opera tra molte, Untitle del 1981, che si rifà alla Battaglia di Anghiari e rivela l’atroce verità che si ritrova nell’espressione latina Homo homini lupus ovvero L’uomo è lupo per l’altro uomo.
Studia, legge moltissimo e si relaziona con l’arte antica, sopratutto italiana, per esprimere sempre il proprio pensiero su questioni contemporanee come il riarmo nucleare, il razzismo, il capitalismo. Non dimenticando mai di parlare, attraverso le sue opere, di amore e sesso.
Con il suo stile apparentemente ingenuo, libero e genuino, affronta con linee fresche, temi densi e spinosi. L’AIDS ha ucciso l’eterno giovane artista attivista che ha trovato presto il suo linguaggio, e che per tutta la vita ha avuto molte cose da dire e su cui far riflettere.
Ilaria Beretta