Stefano Epis fu ucciso il 14 marzo 2015. L’indagine portò all’arresto dei vicini di casa Gaetano e Mattia Teofilo, padre e figlio di 46 e 18 anni. Condannati in primo grado a 30 anni, sono in attesa dell’appello
Lo trovano morto in casa, nel suo appartamento in via Gonin, a Milano. Stefano Epis, 48 anni, ha ferite da taglio al torace e una sulla spalla. La dinamica non è affatto chiara, anche se gli inquirenti propendono per l’omicidio. Un omicidio strano: la casa è perfettamente in ordine. Nemmeno un cassetto aperto, neppure un posacenere per terra. Improbabile dunque che si sia trattato di un tentativo di rapina degenerato. Ma è anche difficile immaginare una colluttazione. La scientifica rileva impronte e cerca tracce biologiche. Siamo al piano terra di un edificio popolare, una cinquantina di metri quadrati in tutto. Se è stato ucciso, non si trova comunque l’arma. È il 14 marzo 2015 quando viene battuta la notizia del delitto e si fa uno screening della vita della vittima: aveva diversi precedenti per droga, furti e rapine. Ex tossicodipendente. Ma, scontata la pena, era tornato in regola e al momento lavorava per una cooperativa come magazziniere.
L’indagine
Una relazione occasionale con una donna. Nessuna segnalazione di incontri o cene con qualcuno. Litigava spesso, questo sì. Anche urla e brutte parole, fino a tarda sera, con i condomini del palazzo. Curava infatti un piccolo roseto davanti a casa e non sopportava l’abitudine di alcuni che buttavano l’immondizia dalla finestra. Dicono che si infervorasse soprattutto quando beveva. Sembra però un po’ troppo poco per trovarvi il movente di un delitto. Il cadavere è stato ritrovato dal padre, che non riusciva più a mettersi in contatto con lui. La polizia ascolta vicini e conoscenti. Negli stessi edifici, tempo prima, un altro uomo aveva perso la vita: Leo Jesus Guzman Cruz, peruviano, 21 anni, un tipo tranquillo, ammazzato a Quarto Oggiaro, mentre beveva una birra in un parco con alcuni amici. Senza alcun motivo. Come dire che, per uccidere, a volte moventi forti non servono. E cos’è successo allora a Stefano? È l’autopsia a confermare che si è trattato di un delitto: e un delitto feroce. Quattro coltellate al petto e colpi di martello.
Padre e figlio
Ed è poco più tardi che si arriva ad una svolta: vengono arrestati Gaetano e Mattia Teofilo, padre e figlio di 46 e 18 anni. Il padre avrebbe usato il martello, mentre Mattia si sarebbe servito di un serramanico. I due sono incensurati, papà magazziniere, il figlio studente dell’Itis. Dicono che Stefano li aveva minacciati innervosito dal pianto del figlio più piccolo di Gaetano, di appena 3 anni, e dall’abbaiare del cane. Minacce pesanti, con tanto di bastoni e martelli, tanto che nell’arco di due anni Gaetano aveva sporto querela per ben tre volte, l’ultima proprio un mese prima. Medesime denunce fatte da altri 6 o 7 condomini. I Teofilo, che hanno quattro figli e due cani di grossa taglia, abitavano proprio sopra di lui e le liti avvenivano spesso tra gli insulti gridati tra le sottili pareti del bagno. Ammettono di averlo ucciso all’alba del 10 marzo, tre giorni prima del ritrovamento del cadavere, al termine di ben due ore di minacce. Subito dopo sono tornati a casa e si sono disfatti degli abiti sporchi di sangue: Gaetano è andato al lavoro e Mattia a scuola. Gli inquirenti propendono per un delitto d’impeto e non contestano la premeditazione. Ma è davvero andata così? Sei giorni dopo, ecco il colpo di scena: «Quando mio padre ha ucciso Stefano Epis, io dormivo». Così ritratta Mattia davanti al pubblico ministero Letizia Mocciaro e al procuratore aggiunto Alberto Nobili nel corso di un interrogatorio di un’ora e mezza. E il padre si assume tutte le responsabilità. Ma anche in questo modo le cose non tornano: può il padre avere impugnato sia il coltello che il martello? Il racconto, per l’accusa, si riempie di contraddizioni perché, pur avendo detto di essere a letto mentre il papà uccideva Stefano, Mattia pare conoscere più dettagli della scena del crimine. Gaetano non rammenta invece quante coltellate avrebbe inferto. Vien fuori un dettaglio ulteriore che rende ancor più tragica la vicenda: Stefano era molto malato, soffriva di cirrosi epatica, epilessia e altre patologie invalidanti alle quali, probabilmente, non sarebbe sopravvissuto a lungo. Ecco perché non è stato nemmeno in grado di reagire all’aggressione in casa e perché tanto lo infastidivano i rumori dal piano di sopra. Padre e figlio scelgono il rito abbreviato. L’accusa contesta l’omicidio volontario aggravato dalla crudeltà e dai futili motivi. Gaetano in aula spiega di essere «dispiaciuto» e di aver agito «esasperato» dalle continue liti. Ma la sentenza che il 20 gennaio 2016 emette in primo grado il gup Vincenzo Natale è durissima: entrambi vengono infatti condannati a 30 anni di reclusione. Scrive il giudice che si trattò di «un’azione di mattanza caratterizzata da uno strisciante senso di disprezzo» e che furono dati «calci gratuiti al corpo moribondo». Le difese hanno annunciato appello.
Edoardo Montolli per Gqitalia.it
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