Giancarlo Narciso è un raffinato evocatore di “mondi lontanissimi”, come direbbe Battiato.
Così, nonostante la forte cornice hard-boiled, le sue storie, ambientate in terre esotiche, orientali o sudamericane, ricordano forse più Chatwin che Chandler.
Egli stesso giramondo, Narciso parla di cose che ha visto, ma le sue non sono “cartoline scritte”, come spesso accade, bensì restituzione del “pedale di sottofondo”, un misto di paesaggio, usi e lingua, che permea i luoghi raccontati, e li rende unici.
E poco importa se i personaggi, primo fra tutti Rodolfo Capitani, “il Capitano”, protagonista de “Le Zanzare di Zanzibar”, successo editoriale del 1995 riproposto in digitale quest’anno da Algama, sono vagabondi avventurieri che gravitano nel sottobosco cosmopolita, borderline tra miseria e criminalità, presente nelle moderne società, soprattutto in quelle “in via di sviluppo” del Centro America.
La particolare angolatura, folcloristicamente e al tempo stesso desolatamente picaresca, da cui ci vengono proposti quei “mondi lontanissimi” ce li fa apprezzare e, perché no?, amare ancora di più.
Una cosa è sicura: Capitani, e gli altri occidentali in trasferta come lui, non si sentono e non si comportano da stranieri, e meno che mai da “migranti”, secondo un bruttissimo termine oggi in voga, ma semmai da cittadini del mondo, perché, parafrasando un famoso verso di Ungaretti, in “qualsiasi parte del mondo ci si può accasare”. Tranne, forse, che in patria, come s’intuisce dallo scarso amore che Capitani mostra verso la sua terra natia, da cui si è allontanato per motivi più filosofici che materiali.
Venendo nello specifico a “Le Zanzare di Zanzibar”, laddove non a caso l’arcipelago della Tanzania è solo miticamente vagheggiato e mai visitato, è la storia dell’incontro tra “il Capitano” e un’indimenticabile “femme fatale”, Marisol ( o come altro si chiama…) che va in scena, tra pause sonnolente di quasi villeggiatura e rischiosi momenti d’azione, in un teatro comprendente molte suggestive località di Messico, Guatemala ed El Salvador.
Il filo che lega questa movimentata, affascinante escursione centroamericana è il “colpo grosso” in cui si trovano coinvolti, oltre a Capitani e alla insidiosa e tormentata Marisol, anche il classico terzo incomodo, José Luis, un spregiudicato girovago che campa di espedienti.
I tre daranno vita ad un “triello”, sentimentale e criminale, pieno di colpi di scena e sentimenti forti, amicizia e passione ma anche gelosia e avidità.
Nargiso prende per mano il lettore con una prosa elegante ed essenziale allo stesso tempo, con dialoghi vivaci e descrizioni nitide.
Rino Casazza
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