Entro la fine di marzo Theresa May invocherà l’Art. 50 del Trattato di Lisbona, quello in base al quale un Paese membro inizia il suo processo di distacco dall’Unione Europea. Seguiranno due anni di trattative per definire i dettagli del divorzio, poi, se non sarà avvenuto prima, l’addio entrerà in vigore nell’aprile del 2019.
Sui futuri negoziati fra l’Ue e la Gran Bretagna per la Brexit si sta tuttavia profilando un ostacolo ingombrante, la richiesta di Bruxelles che Londra paghi una forte somma per liquidare i rapporti pregressi. Gli importi di cui si parla vanno, secondo Alex Barker del Financial Times, da 24,5 a 72,8 miliardi di euro. Non sono noccioline e hanno già fatto infiammare i cuori dei brexitisti, i quali non vogliono scucire nulla.
La richiesta dell’Ue si basa su una serie di punti. Prima di tutto ci sono i programmi varati in passato, con il voto della Gran Bretagna, e non ancora interamente eseguiti, per i quali sono dovute le rate annuali fino ad esaurimento. A questo bisogna aggiungere impegni come il pagamento delle pensioni ad ex politici e funzionari europei di nazionalità britannica e “impegni di coesione” applicabili anche dopo il 2019 (data dell’uscita britannica), impegni che rappresentano un aiuto ai Paesi meno ricchi dell’Unione. Nelle parole di un funzionario europeo, Margaritis Schinas, la pretesa britannica di non cacciare più una sterlina è come se in un pub tutti offrissero a turno un giro di birre, ma uno degli sbevazzoni dopo aver ordinato un altro giro se ne andasse prima del suo turno di pagare.
Il paradosso è che fra i brexitisti più precoci e oggi più indignati ci sono molti che sarebbero diretti beneficiari di spese a cui si chiede alla Gran Bretagna di partecipare.
Infatti a Strasburgo siedono oggi 73 deputati britannici, di cui 20 eletti nelle liste dell’Ukip, il partito nazionalista che più ha premuto per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Come i 1500 funzionari Ue con il passaporto del Regno Unito, questi hanno accumulato diritti per la pensione. Nel caso del Parlamento si parla del 3,5% dello stipendio annuo per ogni anno di servizio, fino a concorrenza del 70% in tutto.
I conti sono presto fatti. Nigel Farage è deputato europeo dal 1999 e ha promesso di rimanere fino al momento dell’uscita della Gran Bretagna, nel 2019. In quel momento avrà diritto al massimo della pensione, il 70% dell’ultimo stipendio. Come dire 6.000 euro al mese.
L’Ukip è stato chiarissimo: si aspetta che le pensioni siano pagate anche dopo l’addio della Gran Bretagna all’Europa. Un portaparola ha detto che Farage e compagnia «sono stati eletti e hanno lavorato». Perciò, dice l’Ukip, hanno diritto alla pensione.
Chi dovrà pagargliela, però? I contribuenti europei di sicuro non sarebbero molto contenti di mantenere gente che ha operato per disgregare l’Europa, per cacciare via i cittadini europei dal proprio Paese e per sottrarsi alle regole comuni. E Farage, Dio non voglia, potrebbe anche vivere ancora qualche decennio. Sopra tutto se berrà un po’ meno birra e se si ricorderà di pagare il giro quando tocca a lui.
Paolo Brera
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