Sette anni fa era valutato mezzo dollaro, agli inizi di quest’anno è tornato oltre i 1000 dollari (per la precisione, ha raggiunto un massimo di 1130) prima di scendere a 750, rimontare a 900 ecc. ecc…. Il bitcoin, chiaro! Nessuna moneta della storia è mai stata altrettanto volatile di questa valuta puramente elettronica, senza Banca centrale, Paese di riferimento, garanzia di pagamento e gestione dell’offerta di moneta.
Su che cosa si fonda il bitcoin? In una parola: su niente. O meglio su un consenso – da parte di un certo mercato a geometria variabile – che assomiglia a un’allucinazione collettiva. Poiché c’è chi accetta bitcoin in cambio di qualcos’altro, chi vuole quel qualcos’altro può decidere di prendere bitcoin in cambio di qualcosa di suo, o proporre qualcosa di suo a un mercato che paga in bitcoin. Tutto come se fosse una moneta come le altre.
In queste condizioni, la volatilità è estrema.
Il sistema è semplice e luccicante come uno schema piramidale. Chi vuole produrre un bitcoin deve possedere del software molto sofisticato ed “estrarlo” da un certo numero di “miniere informatiche” sparse per il ciberspazio. Però chiunque si può comprare un bitcoin in cambio di altre valute. Senza limite? No, un limite c’è, il sistema conta solo un certo importo massimo di bitcoin: è come se le “miniere” fossero un numero limitato, con riserve complessive anch’esse limitate. Quando tutti i bitcoin saranno stati “estratti”, si potranno solo comprare o vendere, non “produrre”.
Questo schema di Ponzi spinge all’estremo una caratteristica che è di tutte le valute: la circolazione fiduciaria. Tutti noi accettiamo in pagamento pezzi di metallo e di carta su cui c’è scritta la parola “euro” perché qualcun altro a sua volta li accetta quando gli chiediamo di consegnarci qualcosa che ci serve. Questo qualcosa può essere anche immateriale, come un’azione della Rio Seco Kryptonite Ltd o un derivato finanziario ancorato alla variazione del cambio fra il ringgit e il quetzal, elevata al quadrato e divisa per pigreco. Ma alla fine qualche euro finiamo pure per spenderlo in qualcosa di materiale, magari da Macdonald’s. Senza la possibilità di un tale passaggio, tutto il sistema crollerebbe.
Nella storia, ogni volta che c’è stata circolazione fiduciaria, vi sono stati esempi di crolli, locali o generali. Le crisi valutarie della seconda metà del secolo scorso comportavano, non di rado, il rifiuto degli operatori di cambiare in valuta locale i soldi presentati da detentori esteri (il cambio è un acquisto di una moneta pagando in un’altra moneta). Il blocco durava qualche giorno, ma quando era in atto nessuno poteva sapee quando sarebbe finito. Errori umani o bachi di software hanno spesso provocato nel giro di pochi secondi cadute dei cambi del 10 o 20 %. Negli anni Venti, la Germania ha conosciuto una spaventosa iperinflazione, in cui i prezzi salivano del 1.000% e più al giorno.
Tiriamo le somme: anche le altre monete, proprio come il bitcoin, basano il proprio valore su un consenso che non ha altri fondamenti se non sé stesso. Io acconsento perché gli altri acconsentono, e per la compagnia anche il frate prese moglie.
Non c’è una via d’uscita? Alcuni dicono di sì: basterebbe, secondo loro, tornare al sistema aureo. Ogni banconota e ogni somma registrata in un computer dovrebbe rappresentare una precisa, invariabile quantità di oro. Quando vuoi, la tua moneta la puoi convertire nel nobile metallo: possiedi x patacche di Macao? eccoti 3,14159 26535 89793 23846 grammi d’oro, e il resto mancia.
Il problema è che nemmeno così ci siamo mossi di un passo dal problema del consenso, checché ne pensino i crisorchi (così si chiamano quelli che coglionescamente credono solo nell’oro). L’oro non è un metallo di per sé molto utile: ci puoi fare qualcosa dentro un congegno elettornico, fonderlo ad anello per fidanzarti, o foderare il fondo di una pentola per fare un risotto migliore: però non è che ci siano molti altri possibili usi. La maggior parte della domanda di oro in effetti è determinata dagli ultimi resti del suo ruolo monetario. Delle varie funzioni della moneta, quella più rilevante per l’oro è lo stockaggio di valore. Però l’oro preserva il valore solo finché la gente pensa che lo preservi.
In conclusione: il fenomeno più vistoso e rappresentativo studiato dall’economica, la moneta, è un esempio del più pirandelliano «Così è se vi pare». Ad esso sovrintendono leggi psicologiche, nebulosette e mal comprese, non le forbite equazioni matematiche o i modelli econometrici attraverso i quali l’economica cerca di presentarsi come una scienza esatta. Per questo nell’economia, e in particolare in fatto di valute, saremo sempre esposti a eventi catastrofici provocati da trasformazioni psicologiche anche repentine.
Paolo Brera
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