Giorni fa, vedendo un programma televisivo dove chiedevano a delle giovani donne cosa facessero in mezzo ad altre persone, una mi ha particolarmente colpito. Dice: “ Mi chiudo in me stessa e non alzo lo sguardo dal telefono o da un libro. Non amo i contatti con sconosciuti, sopratutto sui mezzi pubblici.” La comprendevo ma non la capivo. A differenza di questa donna amo osservare gli sconosciuti. Sopratutto sulla metropolitana dove hai la possibilità di vedere ed osservare le persone in transito in modo ampio. Faccia a faccia, senza sedili o schienali. Quando mi trovo in quella situazione mi piace osservare i movimenti e le espressioni delle persone. Un mondo fatto di gesti e d’espressioni che diventano il fulcro dei loro dialoghi. Se non sei a dieci centimetri di distanza non puoi carpirne il parlato, ma puoi captare se le persone parlano in modo allegro, spensierato,iroso,polemico e così via. In più ci sono i vari intralci della traversata: rumori di rotaie, aperture e chiusure delle porte. In un attimo la carrozza è piena e nelle stazioni più visitate, si svuota velocemente. Osservi i loro sguardi, chi viene urtato inaspettatamente e sta per imprecare, ma le scuse di chi le ha urtate tramutano l’ira improvvisa in un sorriso. Osservi personaggi ,come la giovane donna, che con cuffie alle orecchie si creano un loro mondo personale. Ci sono poi i visi che diventano veri dipinti viventi. Vedi anziane signore truccatissime con lunghe unghie laccate, uomini trasandati che senza esserci seduto accanto ne senti l’afrore dell’allergia al sapone. Giovani ragazzi perennemente vestiti alla moda con t-shirt estive anche in pieno inverno. E leggi nei loro occhi tutti i vari sentimenti. L’amore, la rabbia,la tristezza di alcuni visi che con occhi da gatto bastonato vivono il loro dramma in mezzo a tanti sconosciuti. Quando assisto a questo misto di esistenze mi accorgo di essere curioso di tutte queste vite che hanno in comune quei pochi minuti di tragitto.
Ricordo in particolare un pomeriggio invernale affollato di gente, ero in piedi e seguivo il movimento delle carrozze, cercando di non sbattere addosso a qualcuno. Fra le varie teste e corpi ondulati, intravedo un viso particolarissimo. Spigoloso ma espressivo. Lo osservo da lontano. E’ una donna ricciola, alta truccata in modo delicato. Indossa un cappotto lungo nero che si apre con i movimenti bruschi del treno. Sotto ha un vistoso vestito lucido blu. Indossa orecchini luminosi che lanciano piccoli bagliori nella mia direzione. Con una mano tiene salda una piccola borsa azzurra e con l’altra si mantiene in equilibrio aggrappandosi al palo della carrozza, dopo aver trovato spazio fra le varie mani. Ho uno scatto. Ogni tanto mi capita di fermare qualcuno e chiedere di partecipare in un mio film. Così, anche in metro’ quel giorno ci provo. Faccio per avvicinarmi fra la gente. Più mi avvicino e più la figura si mette a fuoco davanti ai miei occhi. Non mi vede. Mi faccio spazio e avvicinandomi osservo i lineamenti ancor più marcati. Mi sovviene un dubbio. Forse non è neppure una donna o per lo meno non una classica bellezza femminile. Ma questo me la rende ancor più particolare. La sto per raggiungere, forse, ma non ne sono sicuro intravede il mio sguardo curioso. Un decimo di secondo che ricordo ancora oggi, dopo anni. Che si dissolve immediatamente, perché l’espressiva figura esce alla fermata della metro’. La osservo allontanarsi fra la folla. Una testa riccia fra tante. Le porte si chiudono e ora mi dico che quella ragazza della trasmissione sbagliava a guardare in basso, dovrebbe alzare lo sguardo e osservare il silenzio di un mondo pieno d’emozioni.
Questi viaggi mi hanno ispirato per la realizzazione di un cortometraggio dal titolo “Ovatta” che vi mostro qui sotto, interpretato da Marta Fabbietti e Roberto Battaglia. E’ ambientato in un autogrill che come in metropolitana è un susseguirsi di vite, belle, brutte, emozionanti ma sopratutto silenziose.