Frank James Marshall ha fatto parte dell’élite scacchistica mondiale della prima metà del secolo scorso ma, per la verità, non ha mai mostrato la caratura necessaria per diventare il numero 1.
Il suo match per il massimo titolo con Emanuel Lasker, nel 1907, conclusosi a suo sfavore con un umiliante cappotto per 0 a 8, è stato il più impari della storia.
Vi chiederete perché, nel mio excursus attraverso le sfide per il campionato del mondo, ho scelto di parlare del confronto senza storia tra il campione americano e il colosso tedesco.
Il motivo sta nello sfidante, un giocatore così notevole che non voluto farne uno dei protagonisti del romanzo giallo, Le regole del gioco, ambientato durante un torneo internazionale a Parigi nel 1902 e costruito, nella struttura e nell’essenza della trama, sul gioco degli scacchi.
Marshall incarna un po’ lo spirito americano.
Esuberante ed ottimista di carattere come nello stile di gioco, amava lanciarsi all’attacco, alla ricerca della mossa spettacolare, con un coraggio ai confini della temerarietà. I suoi detrattori gli avevano affibbiato il soprannome di “grande imbroglione” per l’abilità nel venir fuori con colpi inaspettati da situazioni compromesse.
Quando era in forma, poteva diventare travolgente, anche se l’incostanza e l’idiosincrasia per il gioco attendista, fatto di manovre lente e accurate, necessario per affrontare avversari di livello comparabile, hanno rappresentato handicap determinanti.
Ha ottenuto grandi risultati nei tornei, in cui ogni giorno si cambia avversario e la competizione non si protrae troppo a lungo, ma nei match uno contro uno, non solo in quello contro Lasker, ha quasi sempre subito rovesci.
Questa figura di “yankee” estroverso , rodomonte e geniale è ben esemplificata dalla mossa decisiva nella sua partita contro Levitsjij a Breslavia nel 1912, di una bellezza così impensabile che si dice gli spettatori abbiano voluto celebrarla coprendo la scacchiera di monete d’oro.
Veniamo a Emanuel Lasker, un vero e proprio monumento nella storia degli scacchi. Basti pensare che il suo regno di campione del mondo, durato dal 1894 al 1921, è ancora oggi il più lungo.
Lasker non era un giocatore a tempo pieno. Ha infatti alternato all’attività scacchistica quella di studioso (ai massimi livelli!, con contributi secondo molti ingiustamente oscurati dai successi davanti alla scacchiera!) e insegnante di matematica. Era assai stimato da Albert Einstein, ebreo di origini come lui e come lui costretto a emigrare dalla Germania con l’Avvento del nazismo.
La cosa curiosa è che Lasker, pur avendo una solidissima base logico-matematica, è passato alla storia per il suo approccio “psicologico” al gioco.
La sua grande intelligenza gli permise di comprendere prima degli altri l’importanza della dimensione agonistica negli scacchi. Una partita, secondo il campione tedesco, non era un confronto meramente intellettuale, ma un”braccio di ferro” che coinvolgeva tutta la personalità dei contendenti.
Così il matematico puro inventore dell'”anello Lasker” teorizzò una vera e propria eresia, ovvero che non bisognasse scegliere la mossa astrattamente migliore ma quella più indigesta per la psicologia dell’avversario.
Non c’è dubbio che Marshall nel match del 1907 fu vittima illustre del paradossale metodo di Lasker.
Il grandissimo campione tedesco (non a caso eccellente giocatore anche a bridge e al cinese gioco del “go”) non solo ha difeso vittoriosamente il titolo 6 volte dopo averlo conquistato nel 1894 contro Wilhelm Steinitz, ma è stato straordinariamente longevo ai massimi livelli. Lo dimostra il primo posto ottenuto , tre anni dopo aver perso lo scettro di campione del mondo ad opera di Raul Capablanca, nel mitico torneo di New York, uno dei più titolati della storia.
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