In esclusiva su Fronte del Blog l’intervista integrale concessa a Libero da Enrico Solito, e apparsa ridotta sul quotidiano, su Sherlock Holmes, la droga, il sesso e la politica…
È stato il primo italiano ad essere nominato membro dei Baker Street Irregulars di New York, la più antica ed esclusiva associazione sherlockiana, un’associazione a cui non ci si può iscrivere: si può solo sperare di essere chiamati. Sull’investigatore più famoso di sempre ha scritto decine di articoli in mezzo mondo, dal Giappone all’Australia, due volumi editi in America, un’intera enciclopedia, una trentina di racconti e tre romanzi apocrifi. L’ultimo, Sherlock Holmes e le ombre di Gubbio, riedito in ebook da Algama (in offerta ad Halloween a 1,99 euro) racconta un’avventura italiana di Holmes, alle prese con un lupo fantasma. Si chiama Enrico Solito, classe 1954, di professione pediatra, spesso in missione all’estero negli ospedali di Emergency. E del personaggio di Conan Doyle è probabilmente il massimo esperto planetario. Non lo diciamo per amor di patria, per carità, ma perché, insieme alla squadra di “Uno studio in Holmes”, di cui è già stato presidente, ha vinto per la seconda volta consecutiva la “Ricerca del Tesoro”, torneo sulla conoscenza holmesiana organizzato dalla John Watson Society: cento domande, tra le più insidiose astruse e traditrici che mente umana possa concepire cui hanno partecipato centinaia di sherlockiani di ogni continente.
Un esempio?
«Una delle più infernali chiedeva quali fossero le due donne che portavano un vestito di lana non marrone. Ora, se leggete tutte le storie troverete diverse signore in seta, qualcuna in nero, ma mai si parla di vestiti di lana, salvo uno che per l’appunto era marrone. Ci sono però due donne, Mary Morstan (che poi diventerà la signora Watson) e Violet Hunter che portano dei vestiti beige (non è specificato di che materiale). Solo che nell’800 in Inghilterra “beige” era sì un colore, ma anche un tipo di lana leggera: questa è la risposta giusta ma bisognava saperlo (o scoprirlo come abbiamo fatto noi)».
Perché c’è questo studio esegetico delle opere di Holmes?
«Perché”?! Ti ricordo che Pitagora quando un suo studente gli chiese a cosa serviva la geometria lo cacciò dalla scuola. Ma perché è dannatamente divertente, ecco perché! Andare a scoprire cosa davvero voleva dire Watson, perché appaiono alcune contraddizioni (che so: nel primo romanzo è ferito in battaglia ad una spalla e poi in molti racconti zoppica per la vecchia ferita di guerra!) e dopo mesi di ricerche ed ipotesi trovare la soluzione è cosa che ti riempie di soddisfazione».
Secondo una linea di pensiero Holmes è esistito davvero. Secondo un’altra i casi erano reali. Qual è la verità?
«Entrambe le cosi che citi fanno parte della teoria “fondamentalista sherlockiana” che dice appunto che è tutto vero e se ci sono apparenti contraddizioni (come quella che citavo) vanno spiegate. Il che significa sfogliare i giornali dell’epoca, studiarne la storia, la cultura, la politica, il costume e perfino l’orario dei treni, per spiegarle. Mi chiedi se questo è tutto vero: molto a malincuore e negando davanti ai miei amici di averlo mai detto, ti confesso che è solo un gioco. E i giochi vanno sempre presi estremamente sul serio. Ma ti chiedo: Ettore ed Achille non sono mai esistiti se non nella mente di Omero (ammesso che sia esistito davvero Omero): ma non è come se fossero esistiti visto quanto sono presenti nella nostra cultura?»
Come muore Sherlock Holmes?
«Intanto non muore (per fortuna). A un certo punto (4 aprile 1891 secondo l’avventura del Problema Finale) scompare avvinghiato al suo mortale nemico, l’arcicriminale Professor James Moriarty, precipitando nelle cascate del Reichenbach in Svizzera. Si sacrifica per salvare il mondo da quel perfido Napoleone del crimine, come lo chiama lui. In realtà dopo tre anni ricompare a Londra (Il Caso della Casa Vuota) dopo aver girovagato per il mondo, dicendo che era passato da Firenze (ovviamente ho studiato il problema e saprei dirti dove, quando e come è passato). Nel 1904 si ritira nel Sussex, ma nel 1914 svolge insieme a Watson una importante missione spionistica contro la Germania. Da allora non si hanno sue notizie, ma personalmente son certo che in un qualche cottage sul mare, in Sussex, il nostro amico fumi ancora la pipa e rifletta».
Non si è mai saputo se fosse sposato. Secondo alcuni era gay.
«Non solo non si sposa ma rifiuta decisamente l’amore come veleno per un ragionatore come lui. Ha bisogno di restare freddo e non essere influenzato, mai, da aspetti emotivi nel suo lavoro: eppure qua e là si lascia sfuggire del rimpianto per ciò che ha perso. Chissà, magari una volta ritiratosi avrà ceduto. Ma Holmes non è la macchina fredda che a volte vuol far sembrare: è estremamente gentile con le donne, si indigna per i soprusi che vede, è sinceramente affezionato a Watson. In realtà tutte le avventure sono la storia della loro profonda amicizia. Che però questa fosse più di una amicizia lo possiamo escludere. Al tempo naturalmente l’omosessualità era assai diffusa (come sempre nella storia del resto): si fingeva di non vedere salvo gettare in prigione il “colpevole” quando il segreto di Pulcinella era ufficialmente svelato, come successe al povero Oscar Wilde. Il punto, ancora una volta, è svelabile studiando il testo originale. In inglese non si dice “voi”, “tu” o “lei”, ma solo “you”: ma le distanze tra le persone sono stabilite da altri modi di dire. Al tempo di Holmes non ci si chiamava mai per nome, nemmeno tra amici, ma solo per cognome. Solo il padre e la madre, i fratelli, l’amante o il consorte avrebbero chiamato una persona per nome: se Holmes e Watson fossero stati amanti si sarebbero chiamati tra loro, almeno quando erano soli, John e Sherlock. Invece si chiamano costantemente tra loro Watson e Holmes».
Holmes si iniettava cocaina.
«Sì, sottocute al 7 per cento, negli intervalli tra i casi, per combattere la noia. Attenzione però: la cocaina era legale all’epoca, si comprava dal farmacista sotto casa. Si beveva la Coca Cola il cui nome è tutto un programma (tranquilli, la formula fu opportunamente cambiata successivamente). Molti medici, tra cui il famoso Sigmund Freud, consigliavano la cocaina ai loro pazienti per vari tipi di malanno. Il più famoso digestivo dell’epoca era il Vino Mariani, che sull’etichetta portava l’immagine del suo più famoso testimonial, Sua Santità Leone XIII, che ne consumava un bicchiere ogni sera. Ebbene quel digestivo era vino corretto con cocaina. Tutto questo lo dico per non confondere Holmes con una sorta di tossicomane di oggi. Col passare degli anni ai primi del novecento i medici si accorsero degli effetti pericolosi di quella sostanza e gli allarmi si moltiplicarono fino alla messa al bando di cocaina ed eroina (anch’essa legale). Watson, che era un medico aggiornato, moltiplicò gli allarmi ad Holmes, che smise di usarne».
C’è un caso che Holmes non è mai riuscito a risolvere?
«Certo. Holmes non è infallibile, Watson lo dice e cita qualche fallimento del suo amico. Per esempio il caso di Mr. James Phillimore, che rientrato in casa per prendere l’ombrello non fu mai più visto da anima viva: la nave Alicia, che entrò una splendida mattina in un piccolo banco di nebbia da cui non emerse mai più: o quella di Isadora Persano, giornalista e spadaccino, trovato completamente impazzito davanti ad una scatola di fiammiferi contenente un verme sconosciuto alla scienza. Ma anche tra i casi narrati ci sono vari errori di Holmes. In La Faccia Gialla la soluzione stupisce anche lui, tanto che chiede a Watson di ricordargli quel caso in futuro, se gli sembrasse troppo sicuro di sé. E poi il detective dice spesso a sé stesso che é un imbecille, è stato tardo e andrebbe preso a calci: solo che lo dice quando arriva nella sua testa alla soluzione del caso, che a lettori e a Watson appare del tutto incomprensibile, perciò nessuno ne tiene mai conto!»
Un caso vero che nemmeno Holmes saprebbe risolvere?
«Questo non saprei. Forse la misteriosa capacità degli Italiani di fidarsi malgrado tutto della loro classe dirigente, o delle bugie propinategli continuamente da giornali e governo, per esempio».
“Elementare, Watson”. Qual è l’origine della frase?
«Non è mai stata detta da Holmes, non compare in nessuna delle storie scritte. Negli anni ‘40 ebbe una straordinaria popolarità la serie dei film della Universal in cui Bruce Rathbone (Holmes) e Nigel Bruce (Watson) affrontavano storie apocrife ambientate in quell’epoca. Holmes era realistico ma Watson era un vero imbecille che il suo amico detective si limitava a sopportare: e per spiegargli le cose ripeteva appunto in continuazione “elementare, Watson”. Di questa maledetta frase non ci si è mai liberati. Il vero Holmes non era un antipatico arrogante che strapazzava un amico tonto, e Watson era persona intelligente e colta, che Holmes stimava assai: certo, non un genio come il detective e non era lui a risolvere i casi (e vorrei vedere voi). Holmes non si sarebbe mai permesso una frase del genere, anche se i due amici scherzavano spesso e si sfottevano anche un po’. Non dite mai “elementare Watson” a un holmesiano se non volete essere fulminati da una occhiata gelida».
Le posizioni politiche di Holmes e Watson.
«Molto discusse, naturalmente, come la loro eventuale fede religiosa o le scuole che devono aver frequentato (interi volumi sull’argomento, la mia libreria ha uno scaffale apposito). Posso dirti le mie personali deduzioni: entrambi sono fedeli sudditi dell’Impero, devoti alla Regina Vittoria, e nel 14 svolgono attività per i servizi segreti. Watson, ex militare, mi pare un conservatore moderato, ammiratore di un grande politico conservatore citato in una storia: peraltro, come Holmes, è antirazzista e considera la guerra “un modo ridicolo di affrontare le controversie internazionali”. Holmes è più disincantato: tratta i nobili con sopportazione e quando può li maltratta, quando ha davanti re e ministri non si fa scrupolo a strapazzarli. Rifiuta decisamente titoli onorifici e cavallereschi inglesi (accetta la legion d’onore francese, anche se la sbatte in un cassetto e nemmeno ne parla) e sopratutto indica a Watson in un caso delle scuole pubbliche, esclamando enfaticamente “i semi del futuro Watson, i semi del futuro”. Ora all’epoca c’era una aspra polemica tra conservatori e liberals proprio sull’argomento e la stampa conservatrice attaccava la loro istituzione. Perciò mi pare corretto annoverare Holmes tra i decisi liberals dell’epoca, pur essendo naturalmente un gentiluomo ben integrato nel sistema e non un socialista alla George Bernard Shaw».