L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti segna senza dubbio un mutamento durevole. Trump sarà un presidente forte, con una maggioranza repubblicana al Senato e alla Camera e una Corte Suprema tornata saldamente conservatrice — perché sarà lui a nominare il giudice ago della bilancia e i legislatori non faranno certamente opposizione.
Le conseguenze economiche di Trump sono meno facili da prevedere. Per quel che riguarda i risultati a medio-lungo termine, ogni previsione minimamente attendibile dovrà aspettare che si posi il polverone provocato dallo shock. Come ha detto Martin Sorrell, fondatore e Ceo del gigante della pubblicità Wpp, «Ci vorrà un bel po’ di tempo per valutare le implicazioni che vanno al di là del breve periodo». Molto tempo forse no, ma un mese probabilmente sì.
Nell’immediato, in campo economico c’è una buona notizia e una serie di cattive notizie. Le cattive notizie consistono nella reazione immediata dei mercati finanziari e valutari: il Nikkei, per esempio, ha perso il 5%, le Borse europee intorno dal 2%. La buona notizia è che di solito i mercati sopravvalutano questo genere di cattive nuove, per cui nel giro di una settimana dovremmo assistere a una stabilizzazione, anche se non certo a un ritorno al punto di partenza. A spaventare gli operatori finanziari e valutari sono state le bordate prelettorali di Trump contro la libertà di commercio, le implicazioni destabilizzanti della promessa di tagliare le tasse e della politica anti-immigrazione, e la possibile fine della protezione americana di fronte alla Cina e alla Russia. Anche il suo atteggiamento anti-Islam ha generato preoccupazioni per il suo estremismo. I politici, naturalmente, assomigliano ai cani: finchè sono dietro un cancello abbaiano feroci, ma se gli viene aperto il cancello – fuori di metafora, se li eleggono – si fanno molto più prudenti. Sarà certo così anche per Trump, ma in quale misura non si sa ancora.
I mercati hanno reagito proprio come si prevedeva. Le azioni sono state vendute, meno quelle delle imprese possibili beneficiarie dell’azione di Trump: armamenti e farmaci (perché Clinton avrebbe colpito i sovraprofitti del settore, e Trump non lo farà). Il dollaro è stato molto venduto, e peggio ancora è andato il peso messicano, visto che il Messico è minacciato su più fronti: Trump ha parlato di porre fine al trattato di libero scambio, rimpatriare forzatamente i clandestini, e tirar su lungo tutto il confine un muro, per giunta da far pagare interamente ai messicani.
In fatto di valute chi vende sta sempre comprando qualcos’altro, e dunque se il dollaro si indebolisce, altri valori si debbono rafforzare. Nel caso presente, oro, euro e yen, valori rifugio. In misura minore franchi svizzeri e sterline; questi cedono qualcosa rispetto all’euro, ma non molto e non senza movimenti di rimbalzo. E dalla sala caldaie, per ora è tutto.
Paolo Brera