La vita scorre. Magari sopra un binario che (a parere di molti) ci conduce lungo un’esistenza immutabile, già segnata, nel bene e nel male da un destino ferreo e rigoroso. Una vita fatta di pieni e di vuoti e del tempo che si consuma alle spalle portandoci inevitabilmente alla fermata ultima, quella prescelta dal Grande Burattinaio che muove i fili del nostro essere. Come viaggiatori di una metro. Per i più, percorsi abituali, consolidati, ritmi magari stanchi. E il vuoto, il grande nemico. Ciò che governa lo spazio tra un’azione e l’altra. Tra l’essere in superficie alla luce e scivolare sottoterra tra buio e tenebre.
Non so se Giacomo Matteo Miniussi ed Elio Marracci, i curatori dell’antologia I Racconti della Metro (Aracne Editrice) si siano ispirati a questo principio nel realizzare la loro idea letteraria. Certo è, che una scelta di ventidue racconti racchiusi entro il limite delle seimila battute calza a pennello con l’atmosfera della metropolitana. Ovvero le attese. Che diventano, nelle loro ripetitività, dei vuoti.
La ricetta proposta è la lettura. Ovvero, una serie di racconti tanto brevi che (a loro volta ambientati in una metro reale o immaginaria) si consumano nel tempo che separa una fermata dall’altra, o sulla banchina in attesa dell’arrivo del mezzo di trasporto. Ai tanti passeggeri viene offerta una soluzione. Leggere per ingannare il vuoto. Leggere per vincere il tempo perduto. Per non farsi sopraffare da pensieri invadenti, o non essere imprigionati nella fissità di sguardi che tentano di ignorare la presenza di una folla sempre uguale.
Leggere per sentirsi in compagnia.