Per festeggiare il ritorno de Le Zanzare di Zanzibar, il grande noir di Giancarlo Narciso riedito da Algama, GQ pubblica in esclusiva un racconto dell’autore della saga di Rodolfo Capitani.
Dal sito del mensile GQ:
Feng shui, un racconto noir di Giancarlo Narciso
Autore della pluripremiata saga di Rodolfo Capitani, Giancarlo Narciso porta su GQ un suo straordinario racconto: Feng Shui
Per la prima volta in ebook il primo romanzo della pluripremiata saga di Rodolfo Capitani:
Le Zanzare di Zanzibar. Vincitrice dei premi Scerbanenco e Tedeschi, la saga, da cui fu tratto anche un film, sarà interamente ripubblicata in digitale da Algama. Di seguito, in esclusiva per GQ, un noir dell’autore della saga, Giancarlo Narciso
Feng Shui
“Bella casa,” sussurra l’ometto cinese, annuendo con fare incoraggiante.
“Si, eh?” dico. Sembra più un ululato di dolore che una risposta civile, ma non me ne curo.
Gironzola per l’appartamento, studiandone gli spazi vuoti, i muri verdi di muffa, il soffitto a volta, tanto alto che una giraffa potrebbe vagare tranquillamente per il soggiorno senza piegare il collo.
“Molto… particolare,” commenta alla fine.
Non dico nulla. Che ne sa il cinese? E cosa ci fa qui? Cosa ci faccio io qui, a pensarci bene, alle prese con una casa che pretende di essere mia? In una città orientale, per giunta?
C’è qualcosa di perverso in una città orientale.
Ci entri, abbacinato dallo sfavillio e dalla varietà delle merci che straboccano nei mercati, dal fracasso, dal girovagare degli abitanti che corrono come formiche. E non sai mai quando e come ne esci. Se ne esci.
Vaghi per le strade e ti lasci stordire dai suoni e dalle spirali di fumo che stagnano nell’aria. Incensi, dicono. Sarà. Intanto i fumi ti avvolgono, ti si insinuano nei polmoni, intorpidendoti la mente e tu non lo sai, mai sei già condannato a non trovare più la strada per tornare.
Pericolosissime le città d’Oriente.
Piene di case, case da tutte le parti, grandi, piccine, torri di cristallo con le guardie armate alle porte vicino a baracche fatiscenti. Ville coloniali, bungalows e villette a schiera, edifici moderni e costruzioni tradizionali che sembrano ritagliate da una storia di Tin Tin. Un inferno. Sono le case che fanno le città, togliete le case e di una città cosa resta? Le strade?
Odio le case.
La gente finisce in trappola nelle case. La gente ci muore nelle case, è provato, muore più gente a casa propria che in qualsiasi altro posto, tranne forse che negli ospedali ma cos’è in fondo un ospedale se non una casa travestita? Le case ti succhiano, ti mangiano, lo sanno bene, in Oriente, è per quello che fanno tutte quelle magie sulle case.
Lo so, avrei dovuto dar retta a chi mi consigliava di continuare a fare lo zingaro. Dopo quella volta a Tokyo, avevo deciso che non mi sarei più lasciato tentare dall’idea di fermarmi in una città e avere una casa mia, dove conservare i miei libri su degli scaffali, ordinandoli per autore, invece che buttarli via dopo averli letti, come avevo fatto felicemente per tutta la vita.
La casa di Tokyo.
Come potrei dimenticarla?
Vuoi vivere a Tokyo, mi ero detto, vuoi integrarti nel microtessuto sociale della città? Non puoi continuare a stare in albergo, devi avere una casa per conto tuo, un posto tranquillo dove rifugiarti quando sei stanco, e organizzare feste e invitare gli amici quando invece hai voglia di mondanità.
E così, mi ero trovato una bella casetta di legno e cartone pressato, con le pareti scorrevoli, il tatami per terra e perfino un giardinetto con i pesci rossi nello stagno.
E un fantasma.
Nemmeno troppo amichevole, poi, visto che era quello dell’inquilino precedente, un ufficiale dell’esercito da poco in pensione che si era suicidato il mese prima che arrivassi io e che ce l’aveva ancora coi vivi. Non gli era ancora passata.
Non era una cosa strana, i giapponesi lo fanno spesso. Non di suicidarsi, cioè sì, anche, ma, quello che voglio dire è che, quando uno si apre la pancia e resta a guardarsi le budella ammucchiarsi sul tatami, poi va a finire che in quella casa non ci vuole più abitare nessuno, perché pensano che lo spettro del suicida resta lì, a tormentare chi passa da quelle parti. Oltretutto, porta una sfiga che ti raccomando.
Così va a finire che sono costretti ad affittare la casa agli stranieri, che quelli tanto sono barbari e ai fantasmi non ci credono.
E noi giù duri a non crederci, con il fantasma che si faceva i comodi suoi e andava avanti e indietro a tutte le ore, neanche avesse preso la casa per un albergo.
Un esperienza dura. I primi capelli bianchi mi sono venuti allora, e non avevo ancora compiuto trent’anni.
(CONTINUA SUL SITO DI GQ- GUARDA)
DICONO DE LE ZANZARE DI ZANZIBAR
«Un noir che è anche un libro di avventure e un drammatico reportage sulla fine di una generazione e dei miti che l’hanno accompagnata. Ci voleva uno come Narciso per scriverla, perché la sua biografia ha molto a che fare con quella dei suoi personaggi».
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Le Zanzare di Zanzibar, il primo volume della trilogia di Giancarlo Narciso
L’AUTORE
Giancarlo Narciso
è tra i più noti scrittori italiani. Autore di diversi romanzi di spionaggio per Segretissimo basati sulla spia Banshee e pubblicati con lo pseudonimo di Jack Morisco, negli anni ’90 inventa il personaggio di Rodolfo Capitani, avventuriero e vagabondo, che segna i suoi libri di più grande successo, portandolo a vincere il Premio Tedeschi e il Premio Scerbanenco. Algama ripubblica l’intera serie nella collana Borderfiction. Dopo Le Zanzare di Zanzibar sarà la volta di Singapore Sling – da cui fu tratto il film RAI Belgrado Sling – e di Incontro a Daunanda.