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La sterlina, prima vittima della Brexit

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Stiamo attenti quando parliamo di Brexit. L’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea è stata solo votata dai britannici in un referendum, ma non è ancora avvenuta: l’effettiva esclusione si verificherà al termine di almeno due anni di negoziati, che inizieranno solo nel 2017 (e forse più tardi) dopo che il governo di Londra avrà attivato la clausola di uscita dei Trattati costitutivi, il famoso articolo 50.

sterlina

 

Ma se fino all’uscita vera e propria la Gran Bretagna resterà de iure un membro dell’Ue, gli effetti del voto – che ha mutato le prospettive complessive del Paese – si stanno già dispiegando. Nell’economia, infatti, non contano solo i fatti (il passato), contano anche le vedute degli operatori riguardo al futuro. I fatti di oggi sono anche la conseguenza delle prospettive percepite ieri, si siano o meno verificate.

Non in tutti i comparti dell’economia britannica stanno emergendo situazioni di sofferenza causate dalla Brexit. La produzione industriale è aumentata, le vendite al dettaglio anche. Ma diverse crepe nell’edificio dell’economia sono già visibili. Il punto più sensibile è quello della sterlina, che sembra avviata a perdere sempre più terreno sui mercati valutari mondiali. Nell’ultima settimana la svalutazione ha già superato il 12% nei confronti dell’euro e qualcosa di più contro il dollaro.

La svalutazione ha sospinto il Paese dal quinto al sesto posto nella graduatoria mondiale del prodotto interno lordo, espresso a prezzi e tassi di cambio correnti. Ma questo è un effetto di cui uno in pratica non si accorge. Più percepibile è l’accelerazione dell’inflazione: l’indice dei prezzi al consumatore è aumentato in luglio dello 0,6%, e le previsioni sono di un ritmo annuo del 3% nel secondo semestre. La svalutazione della sterlina ha reso più care le importazioni di materie prime e di beni finiti.

Questo livello di inflazione è al di sopra del target della Bank of England, e rende quindi più probabile che quest’ultima si muova. E ha un effetto: rende meno appetibili gli averi in sterline, dato che la moneta ha un potere d’acquisto in diminuzione. La Bank of England a inizio agosto ha tagliato i tassi d’interesse per stimolare il credito e così rilanciare la produzione, e ha proceduto ad acquisti di titoli pubblici onde rifornire il sistema finanziario di liquidità. La prima asta è andata maluccio, perché chi aveva titoli non voleva privarsene. Ma la seconda ha visto prenotazioni per un importo 2,7 volte superiore ai titoli disponibili.

Se la gente adesso vuole liberarsi dei titoli pubblici, il finanziamento del disavanzo dello Stato diventa più difficile. E anche per gli altri operatori diventa più difficile finanziare i propri acquisti. Questo è un problema, visto che la bilancia dei pagamenti correnti britannica è in deficit sistematico e per importare merci, il Paese deve poter contare sull’arrivo di capitale estero. Se continua il Quantitative Easing e si manifesta la disaffezione degli investitori esteri, la BoE sarà costretta a rialzare i tassi per rendere nuovamente appetibili i titoli pubblici e consentire il finanziamento del disavanzo esterno. L’aumento dell’inflazione influirà sulle decisioni della Banca centrale  nello stesso senso. Ma qualunque aumento dei tassi avrà effetti recessivi.

Questi fattori svilupperanno i loro effetti con una certa gradualità, anche se non si può escludere un qualche evento rapido, come quando il liquido contenuto in un recipiente trabocca. Altri mutamenti, per il momento ancora poco visibili, avranno conseguenze anche maggiori. La spada di Damocle della futura Brexit rende incerta la situazione futura dell’economia nei prossimi anni, e quindi scoraggia gli investimenti.

Un’economia come quella britannica si muove in una maniera che ricorda quella di una grande nave da crociera: quando si sposta il timone, occorre un bel po’ di tempo prima che la nave compia tutta intera la sua virata. La Brexit è come uno spostamento di novanta gradi del timone. Cambia tutto, ma settore per settore il mutamento procede dapprima lentamente. La situazione della sterlina, in questo momento, è quella che meglio riflette la profondità del mutamento.

Paolo Brera

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Paolo Brera

Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Algama sta ripubblicando le sue opere in ebook, a partire dalla serie dei romanzi con protagonista il colonnello De Valera.

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