Dice: fai una recensione de La Capanna dello zio rom, l’ultimo noir di Andrea G. Pinketts per Mondadori? Eh, come faccio, sto dentro al romanzo. Vediamo che ne esce.
Ora, facile non è facile. Perché ritrovarsi dentro ad un libro di Pinketts, attivo a fianco di Lazzaro Santandrea, ti fa sentire schizofrenico: quello sei tu, sei sempre dannatamente nervoso è vero, ma non è che pensi allo stesso modo. Non ti muovi allo stesso modo. Soprattutto nonparlicosìtuttoattaccato, come scrive lui. Almeno non credo. Anche se nonsonosicuro.
Quindi, se Edoardo Montolli diventa in un romanzo Edoardo Montoya, è difficile che possa fare una recensione imparziale de La Capanna dello zio rom.
Ci siamo conosciuti una ventina d’anni fa, forse proprio venti. C’erano, tra gli altri, lui, Pogo il Dritto e Max Mannarelli, alias Gerè, alias Ko, alias Running, titolare de Le Trottoir, un porto di mare di scrittori, artisti e diseredati che oggi sta a piazza XXIV Maggio, ma che all’epoca era in corso Garibaldi. Aperto 20 o 24 ore su 24 quando non si poteva. E c’era una sorta di guerra coi vigili urbani.
Ogni anno, a Santo Stefano, era d’obbligo il poker. E non mancava mai al tavolo Antonello Caroli, ex modello, gambler, eccettera, eccetera.
Ma è inutile che ve lo scriva perché, se siete suoi lettori, avete già trovato tutto nei libri di Lazzaro: protagonisti, luoghi, circostanze. Nove libri nove dove l’indagine metropolitana, la città trasformata nel West personale di Pinketts, dà il meglio di sé.
Dice, fai la recensione del libro. E allora l’ho fatta. La trovate qui, su GQ.
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I LIBRI
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