Milano, anno 2026: la guerra civile (di religione) affligge la città. Uno straordinario racconto di Paolo Brera su GQ, come antipasto del noir Il veleno degli altri, l’ultimo suo ebook per Algama.
Non perdete, nel frattempo, ogni venerdì, su Sette-Corriere della Sera, il racconto a cura di Paolo Brera!
DAL SITO DI GQ:
Milano 2026: la guerra di religione in città. Un noir di Paolo Brera
Così lo scrittore immagina Milano fra dieci anni. Un noir dove però c’è ancora il tempo per un delitto d’onore
Delitto d’onore è il noir che GQ pubblica in esclusiva di Paolo Brera. Ambientato in una Milano anni luce da quella in cui lo scrittore (e il padre Gianni, maestro assoluto di giornalismo sportivo) è cresciuto. Algama pubblica in eBook la serie noir di Brera dedicata al colonnello De Valera. Il primo è Il veleno degli altri.
Delitto d’onore
Solo un piccolo numero di cristiani integralisti aveva festeggiato il Natale del 2026, con un brindisi, nella sala macchine del 3° Reggimento Droni e Omarini. Il sergente Dunya Güzeldil ricordava ancora i tempi in cui tutti facevano festa, anche lei. I genitori non dicevano niente, se ne infischiavano, ma anche l’ulema faceva notare che Isa, che Dio gli desse la pace, era stato un grande profeta, e solennizzare la sua nascita non era certamente sbagliato. Però ora lo facevano in pochi. Tante cose si erano perse per strada, con la guerra.
La sala macchine era calda e confortevole, gli schermi proiettavano sulle pareti luci quasi stroboscopiche, come in discoteca.
In quella fantasmagoria Dunya fissava il suo schermo principale. Il suo drone volava alto sulla ridotta di via Imbonati, dove erano asserragliati i geifisti. Vedeva tutto. Le bandiere geifiste con la mezzaluna argento su fondo nero sventolavano sugli edifici – Yusuf (la personificazione del nemico) sperava che le bombardassero, con danni collaterali che gli avrebbero fruttato nuove reclute. Bruzzano, o quel che ne rimaneva dopo i combattimenti, era già occupata dall’esercito: i prigionieri geifisti e quelli di Al-Qaeda, dopo un giudizio sommario per crimini di guerra, erano stati giustiziati oppure spostati nei campi di prigionia.
Il secondo schermo, quello dell’omarino, muoveva il piccolo robot a cui erano affidati tanti còmpiti di combattimento nelle guerre moderne. Qui l’attenzione doveva essere più intensa, perché i pericoli erano maggiori. Dunya aveva già perduto tre omarini in un mese di combattimenti, se li era presi Yusuf. Un omarino costava come una Fca Bimbo coupé. Ma rendeva: alto un metro, poteva sistemarsi dove un soldato in carne e ossa non poteva e di lì cecchinare quasi come un tiratore scelto. La combinazione con un drone era molto efficiente. Il drone sorvegliava le mosse di Yusuf e vedeva i pericoli in anticipo.
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L’AUTORE
Paolo Brera è nato nel secolo scorso, non nella seconda metà che sono buoni anche i ragazzini, ma nell’accidentata prima metà, quella con le guerre e Charlie Chaplin. Poi si è in qualche modo trascinato fino al terzo millennio. Lo sforzo non gli è stato fatale, ma quasi, e comunque potete sempre aspettare seduti sulla riva del fiume. Nella sua vita ha fatto molti mestieri, che a leggerne l’elenco ci si raccapezza poco perfino lui: assistente universitario di quattro discipline diverse (storia economica, diritto privato comparato, eocnomia politica e marketing), vice export manager di un’importante società petrolifera, consulente aziendale, giornalista, editore, affittacamere e scrittore. Ha pubblicato una settantina di articoli scientifici o culturali, tradotti in sei lingue europee, due saggi (Denaro ed Emergenza Fame, quest’ultimo pubblicato insieme a Famiglia Cristiana), due romanzi e una trentina di racconti di fantascienza, sei romanzi e una decina di racconti gialli, più un fritto misto di altri racconti difficili da definire. Negli ultimi anni si è scoperto la voglia di tradurre grandi autori, per il piacere di fare da tramite fra loro e il pubblico italiano. Questo ha voluto dire mettere le mani in molte lingue (tutte indoeuropee, peraltro). Il conto finora è arrivato a quindici. Non è che le parli tutte, ma oggi c’è il Web che per chi lo sa usare è anche un colossale dizionario pratico. L’essenziale è rendere attuali questi scrittori e i loro racconti, sfuggire all’aura di erudizione letteraria che infesta l’accademia italiana, e produrre qualcosa che sia divertente da leggere. Brera ci ha provato.
Ma sì, capisco, un racconto bisogna sempre dire che è straordinario, così alla gente viene la voglia di leggerlo. Ma a me un po’ dispiace. Sono in questo buon lombardo, non amo le iperboli. Io che del racconto sono l’autore posso dire al massimo che spero che piaccia. Se interrogato sotto tortura, direi anche che cosa ho voluto metterci dentro quando l’ho scritto. Senza torura non mi sogno neanche di rispondere. Quello che c’è deve percepirlo chi legge; e spesso chi legge ci vedrà anche di più di quello che lo scrittore sapeva di metterci dentro, perché la scrittura, come ogni attività creativa, non è interamente conscia. A me non è dispiaciuto usare il mio tempo per scriverlo, quel racconto. Spero che nessuno rimpianga mai il tempo necessario per òeggerlo.