Non era esplosivo e non è esploso. Il tanto atteso e temuto stress test dell’Eba, l’Autorità bancaria europea, è arrivato venerdì 29 verso le dieci di sera. Quasi tutte le cinquantuno grandi banche europee sono state trovate okey: anche nel caso in cui si realizzasse lo scenario peggiore, il loro 13,2% di Cet1 (capitale proprio) subirebbe una decurtazione di 380 punti base, ma terrebbero.
Ci sono eccezioni: prima di tutto il Monte dei paschi di Siena, che però ha formulato e approvato proprio qualche ora prima (meglio tardi che mai…) un piano di risanamento; poi due banche irlandesi, la Allied Irish e la Bank of Ireland; e l’austriaca Raiffeisen Zentralbank. Le banche britanniche non vengono fuori troppo bene dall’esercizio, con la Rbs che risulta la peggiore; ma sono fuori dall’area di rischio. Anche in possibili tempi di vacche anoressiche, le banche europee, nella loro bulimica avidità, se la caverebbero.
«Gli stress test mostrano i benefici del rafforzamento di capitale fatto sino ad ora che si riflettono nella resistenza del sistema bancario europeo a un grave shock», ha detto Andrea Enria, che è alla guida dell’Eba, a margine della presentazione a Londra dei risultati dello stress test. I risultati tuttavia non costituiscono «un certificato di buona salute» e «c’è ancora del lavoro da fare». Ci mancherebbe! Dopo tutto, l’Eba deve ancora gisutificare la propria esistenza agli occhi del pubblico. If it isn’t broke, don’t fix it.
La Banca centrale europea suona lievemente più ottimista. «Le banche dell’Eurozona, nel corso degli stress test condotti dall’Eba, hanno mostrato una maggiore capacità di assorbire shock economici rispetto all’esercizio condotto nel 2014». I risultati, sottolinea la Bce, «dimostrano che le banche dell’area dell’euro sono diventate più resistenti» e che «le attese in termini di richieste di capitale di vigilanza resteranno nel complesso stabili rispetto al 2015».
Le italiane sottoposte al test erano cinque: Banca Popolare, Intesa, Mps, Ubi e Unicredit. Quattro escono gallonate, e addirittura con risultati migliori della media europea. Non illudetevi che basti questo perché i media internazionali smettano di parlare della “crisi delle banche italiane”. Ci deve essere sui mercati internazionali qualche parola d’ordine sussurrata a mezza voce, che dice di dare addosso al settore bancario tricolore onde farlo nero e intascare dorati profitti speculativi. Non un vero e proprio complotto, ma un semplice idem sentire che in quanto tale è praticamente impossibile da contrastare. That’s the markets for you.
In media, le quattro grandi banche “serene” del nostro Paese subirebbero, in caso di scenario avverso, un impatto del 3,2% sul Cet1, meno della media europea che è al 3,8%. ll Montе dеi Paschi di Siеna invece passеrеbbе da un Cеt1 dеl 2015 a 12,01% a uno a meno 2,23% nеl 2018. Sе si tiеn conto dеllе nuovе rеgolazioni chе еntrеranno in vigorе еntro il 2019, arrivеrеbbе a -2,44%.
Tra i cinquantuno istituti sottoposti allo strеss tеst, Mps еvidеnzia la situazionе pеggiorе con un Cеt1 in caduta dеl 14,23% (di 14,51% conlе misurе rеgolamеntari al 2019).
Un risultato inquietante. Che però non si verificherà, visto che proprio alcune ore prima che fossero diffusi i risultati il CdA ha approvato, con l’assenso della Bce, un piano di risanamento che prevede la dismissione di 27,7 miliardi di sofferenze lorde al 33% del nominale. I crediti non performing saranno cartolarizzati a cura di JP Morgan e collocati, per un importo totale di 9,2 miliardi, a diversi gruppi di acquirenti: la frazione senior, per 6 miliardi, sarà garantita dalla Gacs, cioè dallo Stato; la mezzanine (intermedia), per 1,6 miliardi, vedrà la partecipazione del Fondo Atlante Bis; e la junior, anch’essa di 1,6 miliardi, sarà girata agli azionisti prima dell’aumento di capitale di 5 miliardi da realizzare entro l’anno. Insomma, The Italian Bank On the Plank, altrimenti detta Montepaschi, per una volta ha voluto smentire il famoso proverbio della tardissimissima latinità Errare humanum est, perseverare in errore bankolicum.
Ma quanto ci ha messo, oh!
Paolo Brera
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