“Amo l’acqua perché non mi ha mai chiesto niente”.
Entrare nel mondo di Francesco Tricarico non è facile. E’ come cercare d’inseguire il Piccolo Principe in viaggio tra i pianeti.
Lui, uomo schivo e astratto, vive di sottintesi, di sussurri. Macina metafore e le soffia su di una tela scura. I suoi dipinti, però, non sono reali. Sono come quei disegni che facevamo da bambini, dove il sole era una palla gialla e il mare un’onda azzurra che si differenziava dalle montagne solo per il colore del pastello.
Ecco Tricarico, un cantautore di quarantacinque anni che disegna come un bambino. Un pittore onirico, uno squinternato poeta. E’ colui che dal 2000, dall’epoca di “Io sono Francesco”, ci dipinge attorno un mondo perfettamente incasinato.
Un vagabondo seduto all’angolo della strada, in una qualsiasi periferia, con gli occhiali calati sul naso e un libro sgualcito in mano. Oppure su una zattera, sperduto in mezzo all’oceano, con addosso uno smoking giallo. O, meglio ancora, sul vagone di un treno in corsa intento a suonare il suo flauto per un gruppo di orfani in cerca di una melodia che possa dar loro nuove speranze.
Potremmo stare qui a snocciolare per filo e per segno la carriera di Francesco, le canzoni scritte per Zucchero o Celentano, i suoi indimenticabili successi.
E invece ci limitiamo a rincorrerlo prima che s’infili di nuovo nella tana del Bianconiglio…
Francesco, non so se è solo una mia impressione ma io, nell’ascoltare i tuoi pezzi, ho sempre l’impressione che siano stati scritti da un bambino di sette anni. E’ questo che sei in realtà? Un bambino di sette anni?
No. E’ solo una tua impressione. In realtà sono un bambino di nove anni (ride).
Il tuo primo successo “Io sono Francesco”, quando uscì, divenne un manifesto studentesco che strumentalizzava la frase “Puttana la maestra”. In realtà penso che il vero senso del brano fosse nella frase “I padre è solo un uomo e gli uomini son tanti. Scegli il migliore, seguilo e impara”. E’ più o meno quello che avvenne con “Vieni a ballare in Puglia” di Caparezza, che parlava di morti sul lavoro e disagio del mezzogiorno e divenne un inno da discoteca. E’ frustrante vedere travisate le proprie parole o, in fondo, il vostro scopo da artisti è semplicemente quello di poter piacere a tutti?
Non è frustrante. Se una canzone è una buona canzone e una buona canzone fa ciò che fa una buona canzone ognuno, a suo modo, trova in essa vita, gioia.
Nello splendido album “Giglio” c’è un brano che ti rappresenta forse meglio di qualunque altro che s’intitola “Il mio amico”, la storia di un “mago” incompreso.
La magia è in ognuno di noi. Io sono “Il mio amico”. Sono un mago.
In una realtà in cui i Talent Show sembrano essere l’unico modo per far emergere il proprio talento musicale, ho come l’impressione che ci sia sempre più carenza di “grandi cantautori”. Che fine hanno fatto tutti i “narratori di favole” di un tempo?
Stanno scrivendo.
Un giorno ho sentito in radio lo speaker Nicola Savino dire “Tricarico è il Bob Dylan italiano”. Che fosse serio o meno, quali sono i tuoi punti di riferimento musicali?
Io sono il Bob Dylan Italiano che era Dylan Thomas e Charlie Parker.
Ladro di un Bob. Ridammi la pistola, cazzo!
Mozart, Lou Reed e Jannacci Enzo sono i miei riferimenti musicali.
Nicola ha capito.
Nel 2008, quando partecipasti a Sanremo con “Vita tranquilla”, l’Italia sembrò scoprire definitivamente il grande cantautore Tricarico. Ti aspettavi un successo del genere.
Si. Anche se non so perché ebbe tutto quel successo.
Veniamo al tuo ultimo lavoro. “Da chi non te lo aspetti” e’ un doppio album che esce a distanza di qualche mese l’uno dall’altro e contiene, nella sua prima parte, sei inediti e due brani storici ricantati e accompagnati dal solo piano. Il singolo che lo trascina s’intitola “Brillerà” e vanta la partecipazione di Ale e Franz. Sembra quasi un grido di riscatto dopo un periodo di silenzio che riguarda tutti e tre. E’ così?
Per quel che riguarda me, sì.
Per Ale e Franz dovresti chiederlo a loro.
Forse.
Nel nuovo album c’è un pezzo che s’intitola “SOS Oliva”, che recita così: “SOS, fare i conti con la realtà. SOS, tre puntini, tre lineette, tre puntini”. Qual è il significato di questo brano?
SOS, alfabeto morse: tre puntini, tre lineette, tre puntini.
Un segnale di aiuto. Non fu considerato fino a che non lo lanciò il TITANIC prima d’inabissarsi.
Da lì in poi fu usato.
Puoi trarne tu le conclusioni che preferisci.
“Un nuovo amore” è un quadro perfettamente dipinto. Ma l’amore, nel mondo d’oggi fatto di stragi e tradimenti, ha ancora un significato?
Si. Proprio per questo è la nostra unica salvezza.
Perché hai voluto ricantare (tra l’altro magnificamente e dando loro nuova vita) due brani come “Io sono Francesco” e “Musica” in una nuova versione? Avevi un conto in sospeso con loro?
Le ho ricantate per mio padre. Mi devo scusare con lui.
Avevo tre anni quando è morto il mio pilota d’aerei militare.
Il padre non è solo un uomo.
Il padre è il padre.
Così come Tricarico è Tricarico.
Un vagabondo sul ciglio della strada, un naufrago, un pifferaio magico.
Un bambino di nove anni con un pastello in mano ed una tela da colorare.
Un mago che scivola in un cilindro e finisce in una nuova storia.
E come brilla, ora.
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Alex Rebatto