Una delle operazioni più difficili nel cinema è dire qualcosa di nuovo in un sotto-genere, esso stesso nato per portare una ventata di originalità nel genere principale. Abbiamo già parlato di come il “reality horror” abbia fornito una variante suggestiva al film dell’orrore classico.
Il reality horror ê basato sull’espediente del finto documentario, che fa passare come vere, in quanto riprese dall’occhio impersonale ed obiettivo di una telecamera, vicende spaventose che secondo l’esperienza comune dovrebbero esser frutto di fantasia.
Il capostipite di questo filone, “The Blair witch proiect”, un film di clamoroso successo, riuscì davvero a mantenere il dubbio sulla propria natura documentaristica.
Dopo, il reality horror è diventato una moda, con un lungo seguito di pellicole che ne utilizzano l’idea, ma ripetitivamente, senza variazioni originali. L’idea di fondo funziona a tal punto che i “reality-horror” possono ormai contare su uno zoccolo duro di “aficionados”, ma è innegabile la stanchezza del sotto-genere.
“Unfriended” (in italiano senza amici) si basa su una sfida temeraria, essendo composto di un’unica, lunghissima scena fissa: la telecamera inquadra dall’inizio alla fine, con minime eccezioni, il monitor di un computer, sul quale sta svolgendosi una scanzonata videoconferenza notturna su Skype tra un gruppo di giovani amici.
La chiacchierata tecnologica dei ragazzi si trasforma progressivamente in un incubo terribile perché nella videoconferenza si infiltra, impossibile da scacciare, un utente che utilizza l’user name di una loro amica da poco defunta.
L’argomento è quello, conosciutissimo, della “vendetta del morto che ritorna” , ma “Unfriended” merita apprezzamento per averlo declinato all’interno del mondo virtuale del social network. Questi sono entrati a tal punto a far parte del nostro quotidiano con la loro positività a prescindere (annullamento delle distanze geografiche, diffusione delle informazioni, libertà espressiva) da farci dimenticare che, in quanto espressione umana, sono soggetti ai lati oscuri della vita, come il dolore e il male.
Segnalo che la sorte dei profili personali nei social network dopo la morte del proprietario sta diventando un problema etico e giuridico. Personalmente, confesso che mi ha disturbato scoprire ancora attivo, per dimenticanza dei parenti, il profilo di un amico oltre un anno dopo la sua scomparsa.
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