In Spagna la storia si ripete. Ma forse non proprio. Le nuove elezioni del 26 giugno, o 26J come lo abbreviano i media iberici, hanno dipinto un quadro simile a quello di sei mesi fa, ma con alcune differenze sostanziali. Questa volta c’è un vincitore preciso e ci sono parecchi sconfitti.
La recente vicenda politica di Madrid richiede un riassunto delle puntate precedenti: dal voto del 20 dicembre 2015 non è uscito alcun governo, prolungando il ruolo di primo ministro en funciones di Mariano Rajoy, leader del PP (Partido Popular, di centro-destra). Si è susseguita una serie di fatti inediti nella storia quasi quarantennale della democrazia spagnola. Alla fine del 2015, per la prima volta un partito tecnicamente vincitore delle elezioni non ha conseguito la maggioranza assoluta. Inoltre, per la prima volta il leader del partito vincitore – lo stagionato Rajoy appunto – ha rifiutato l’invito del capo di stato – re Felipe VI – a formare il nuovo governo, lasciando di conseguenza il gravoso compito al secondo classificato, Pedro Sánchez, giovane leader del PSOE (Partido Socialista Obrero Español, di centro-sinistra).
Che cos’era accaduto? La nascita di una nuova formazione alternativa di sinistra, Podemos, sorta dall’antipolitica degli indignados, che già a suo tempo aveva premuto per le dimissioni del primo ministro socialista Zapatero in quanto capro espiatorio della crisi globale di importazione americana, regalando di fatto il governo a Rajoy. Il quale si è dedicato tanto a sanzionare l’austerità inevitabile per fronteggiare la crisi (come e più di quanto avrebbe potuto fare Zapatero) quanto a disfare varie riforme promosse dal predecessore socialista.
Visto il successo nell’influire sulla politica spagnola, anche se conquistando effetti in apparenza opposti a quelli desiderati, gli indignados hanno generato Podemos (“Possiamo”), formazione di sinistra con alla testa il giovane leader Pablo Iglesias, che alle elezioni dello scorso dicembre ha pesantemente sottratto voti ai socialisti? Come? Tra le varie cose, cavalcando l’onda (di matrice a dire il vero molto borghese) dell’indipendentismo catalano, che propugna la separazione dalla Spagna, con la malcelata speranza di conquistare una “Gran Catalunya” occupando altre regioni su cui dal 1979 esercita una forzata e non sempre gradita influenza culturale, vissuta altrove come imperialismo travestito da indipendentismo.
La quarta forza visibile in dicembre era quella di C’s (Ciudadanos), nuovo gruppo di stampo liberale, guidato dal catalano non indipendentista Albert Rivera, che si proponeva come alternativa di centro al PP di Rajoy. Il problema: il 20 dicembre Ciudadanos ha indebolito i Populares, Podemos ha eroso i socialisti e alla fine la matematica è stata spietata. Da una parte vinceva Rajoy, dall’altra parte la maggioranza dei voti andava agli oppositori di Rajoy, assai divisi però tra loro.
Popolari e socialisti insieme avrebbero ottenuto una larga maggioranza di governo, ma Sánchez era dichiaratamente contrario a un governo di colazione con Rajoy, che rappresentava tutto ciò che intendeva rimuovere. Il socialista Sánchez avrebbe potuto governare con Podemos e Ciudadanos, tuttavia le posizioni su indipendentismo ed economia di Podemos erano inaccettabili per gli altri due ipotetici alleati. Dopo mesi di tentativi, Sánchez ha dovuto gettare la spugna. Sessanta giorni dopo, ecco le nuove elezioni.
Le previsioni davano ormai il sorpasso di Podemos sui socialisti. E, puntando su questo obiettivo, Podemos si è alleato con Izquierda Unida, partito più classico della sinistra radicale, dando vita a Unidos Podemos. Come se in Italia il Movimento Cinque Stelle si fosse congiunto con Rifondazione Comunista: non piacerebbe né all’uno né all’altra. Infatti alle elezioni del 26 giugno Unidos Podemos è riuscito a perdere un milione di voti complessivi, salvandosi solo in Catalogna, dove la sua filiale En Comu Podem – forse grazie anche all’assenteismo più marcato che altrove degli elettori locali – è la prima forza nella regione e continua con i suoi progetti separatisti.
Hanno perso anche i socialisti, scesi al loro minimo storico, penalizzati dal rischio di patteggiamenti con i separatisti ventilato anche se sempre rifiutato nei mesi precedenti. Premio di consolazione: il mancato sorpasso di Podemos, che ha permesso al PSOE di restare il secondo partito del paese e il primo di sinistra. Così come ha perso Ciudadanos, i cui voti sono migrati verso il Partido Popular a cui li aveva sottratti in dicembre. Stavolta il cambiamento ha perso e il PP, che ha guadagnato seggi in modo inequivocabile posizionandosi a cinquanta in più del secondo partito, è l’unico autentico vincitore.
Merito di Rajoy? In un certo senso sì: la sua testardaggine è diventata, per esempio, il riferimento più sicuro per chi non vuole la Catalexit, l’uscita della Catalogna dalla Spagna, dall’Europa, dall’euro, dall’area Schengen: un’eventualità reale, appena dimostrata dalla Brexit, dato che sull’onda emozionale le folle possono prendere decisioni referendarie potenzialmente autodistruttive, salvo poi pentirsene quando è troppo tardi. Lo stagionato, incrollabile Rajoy è divenuto il rifugio contro troppi cambiamenti. A costo di turarsi il naso per votarlo.
Si può dire che Podemos abbia riconsegnato la Spagna alla destra, come ha sottinteso Pedro Sánchez del PSOE nelle sue prime dichiarazioni dopo i risultati. C’è da chiedersi da che parte stiano realmente gli ex-indignati, vista la devastazione che anche stavolta sono riusciti a provocare a sinistra.
Non è però una Spagna facilmente gestibile quella che riceve Rajoy: come sei mesi fa, il Partido Popular non ha la maggioranza assoluta. Si ripone il problema di un’alleanza PP-PSOE (o PP con un’astensione socialista) oppure PP-PSOE-Ciudadanos, quest’ultimo però da una posizione molto più debole rispetto a dicembre. Stavolta il governo è ancora più impellente, dopo sei mesi persi nel limbo ad interim. La data limite fissata dal re di Spagna è il 19 luglio. Qualcuno dovrà accettare patti di coalizione, mentre i catalani già cantano vittoria, sognando di diventare più stranieri e più ricchi, come gli inglesi. Ma questa notte la Spagna è più spagnola di ieri.