Il film “Batman contro Superman: down of Justice”, così smaccatamente “kitsh” che finisce per fare di questo difetto la sua forza, permette qualche riflessione sul “cinema dei supereroi”.
L’anno scorso il regista Alejandro Inarritu, incoronato re di Hollywood per due anni consecutivi con i film Birdman e Revenance, lanciò una bordata contro i film dei supereroi, sostenendo che sono una caduta di stile e di livello nell’arte cinematografica a causa del loro soggetto culturalmente povero, ricavato non a caso dai fumetti di massa per ragazzini.
Chi come me da ragazzino divorava le storie illustrate dei vari Spiderman, Superman, Devil, Thor etc etc, e adesso, in età matura, continua a divertirsi con le loro trasposizioni cinematografiche, ha incassato con un certo fastidio.
Mi piace pensare che questo Batman contro Superman: l’alba della Giustizia, sia una risposta alla stroncatura di Inarritu.
In effetti, ne ha tutta l’aria.
Il regista Zack Snyder, specialista del genere, mette in scena un “fumettone” in cui l’Uomo d’Acciaio e L’Uomo Pipistrello addirittura si combattono, situazione del tutto inedita che strizza l’occhio alla spettacolarità.
Benché di Batman venga sottolineata l’ambiguità (è un vero paladino della giustizia o uno spietato vendicatore?) in molte pellicole precedenti, soprattutto nella serie del “cavaliere oscuro” di Nolan, mentre la generosità di Superman sia intaccata unicamente da equivoci o da macchinazioni del suo acerrimo nemico Lex Luthor, Snyder fa disinvoltamente di entrambi figure in chiaroscuro, contraddittorie e antipatiche.
E non si risparmia nell’ambiestazione, mettendo davanti agli occhi dello spettatore entrambe le finte ma mitiche città che fanno da scenario alle gesta dei due paladini della giustizia in costume: Metropolis e Ghotam City.
Per quanto riguarda gli effetti speciali, ça va san dire che, specie nei combattimenti “fratricidi” tra gli alfieri del bene, vengono elargiti a profusione.
Insomma una vera summa, senza ritegno, del genere.
Tornando alla polemica di Inarritu, crediamo che il severo parere del regista messicano sia viziato da un antico pregiudizio: quello che esista un cinema “alto”, portatore di contenuti e quindi da esaltare, e uno “basso”, vuoto e fine a sé stesso e quindi da snobbare.
Una distinzione fuorviante che si ritrova anche nell’ambito del fumetto, laddove si voglia riconoscere solo a una parte, quella più raffinata e culturalmente impegnata, di questo genere espressivo l’attributo di “letteratura disegnata” coniato da Hugo Pratt.
Invece va riconosciuta pari dignità al (presunto) “alto” e (presunto) “basso”, ovvero a Spiderman come a La dolce vita, perché saper intrattenere col fantastico e il meraviglioso è altrettanto importante che interpretare il mondo e far riflettere.