E’ passato sufficiente tempo dall’uscita dell’ultimo film di Checco Zalone, Quo vado, – primo per incassi al bottegnino nella storia del cinema italiano! – per parlarne senza visceralità.
Come si sa, il “fenomeno Zalone” divide l’opinione pubblica: c’è chi lo considera uno scadente epigono del “trash”, e chi invece ne apprezza la comicità. Gli uni si stupiscono e finanche indignano che i “filmetti” del comico pugliese ottengano tutto questo successo, gli altri vanno in massa a vederli divertendosi di gusto.
In una recensione “a caldo”, scrivevo che la controversia equivale a voler stabilire se sia meglio “Fantozzi contro tutti” o “La corazzata Potiomkin.
Quell’opinione è ancora valida: il genere comico va valutato prescindendo dal contenuto.
La comicità è soprattutto forma. Come ben chiarisce lo sceneggiatore dei successi cinematografici di Benigni, Vittorio Cerami, nel manuale “A un giovane scrittore”, si fa ridere attraverso meccanismi, consolidati e addirittura codificabili, legati alla fisicità, la gestualità e l’empatia del comico. Quello che quest’ultimo comunica conta poco rispetto a “come” lo comunica.
Basta pensare alle barzellette: la loro riuscita sta nel “saperle” raccontare più che nel loro umorismo intrinseco.
Perciò nel giudicare Checco Zalone non bisogna ricadere nell’errore che aveva portato a classificare come “spazzatura”i film di Totò, salvo poi ricredersi e riconoscerne il valore.
Il film di un comico è malriuscito se non fa ridere, non se la sua “estetica visiva” o l’argomento trattato sono scadenti.
Checco Zalone, alias Luca Medici, sforna film pieni di gags e battute che divertono il vasto pubblico, il che taglia la testa al toro.
Ciò premesso, è perfettamente lecito un giudizio di merito sul comico pugliese, e non mi sottraggo a questo dibattito.
Di nuovo, vale quel che sostenni quando “Quo vado” uscì nelle sale.
Luca Medici, con il personaggio di Checco Zalone, riesce a far efficacemente satira. L’apparente grettezza e ignoranza del personaggio ( che chi lo interpreta sia persona di cultura, oltre che un bravissimo musicista, è ormai noto) non inganni: oggetto dell’irrisione non è il provinciale italico rozzo e plebeo. Checco è semmai il grimaldello, con la sua innocente gaglioffaggine, di vizi e difetti più trasversali, che riguardano i costumi e la mentalità del Bel Paese.
Come in Quo vado, dove il grottesco attaccamento al posto fisso di cui soffre il protagonista, se non ce ne fossimo accorti, lancia un messaggio scomodo: prima di dedicarsi allo sport nazionale di scagliar pietre contro i governanti che gestiscono malamente la cosa pubblica, i governati dovrebbero fare autocritica sui propri vizi , analoghi e probabilmente speculari.