C’è stato un tempo, nemmeno tempo fa, in cui Cesare Prandelli, ex allenatore, tra i vari club con cui ha collaborato, di Fiorentina, Parma, Galatasaray e dalla nazionale azzurra, ma soprattutto ex eterna, mai del tutto sbocciata però, promessa della panchina italiana a un passo, nel 2004 (e tra il 2008 e il 2010), dal diventare trainer della Juventus, beh utilizzava ufficialmente pure il suo secondo nome Claudio.
Dopo il buon Europeo alla guida dell’Italia nel 2012, ma in finale i suoi azzurri venero schiantati dalla Spagna, insieme alla decisione di non farsi più chiamare Claudio, ecco, è come se in un certo senso, Prandelli abbia perso la sua buona stella tecnica, un talento discreto– distinto il suo, ma dal 2014 (pessimo il Mondiale brasiliano) appannatosi, affievolito, disperso in una serie di interviste fashion su riviste patinate, polemiche varie, prediche dispensate, passi falsi, umani per carità, professionali, scelte discutibili (azzardo frettoloso emigrare per lavoro in Turchia) e appunto buone promesse e ottime premesse tecniche mai maturate appieno.
Salvo colpi di coda, aspettando la grande occasione, ma il tempo passa e la Chiamata non arriva, di un top team europeo, tra qualche giorno Cesare fu Claudio, bresciano appassionato (fa vita sociale in paese, ha girato persino un cortometraggio amatoriale in dialetto) di Orzinuovi potrebbe diventare il nuovo tecnico della sbarazzina, orobica Atalanta presieduta dall’ambizioso e frizzante presidente Percassi. E chissà, magari a Bergamo, Prandelli, riallacciando rapporti (magari nello staff riarruolerà il fido consigliere Luciano Zanchini, ndr) e ripartendo, in un certo senso da zero, tornerà ad essere considerato l’allenatore bravissimo e interessante che è stato, almeno, sino a una strana, agrodolce, malinconica e mai del tutto sfumata estate 2012.
Stefano Mauri