Sopravvissuti a incidenti aerei, fulmini, navi affondate e bombe atomiche: storia degli uomini più fortunati del mondo. Ma occhio ai falsi.
Dalle ceneri degli attentati di Bruxelles non emergono solo storie di tragedie. Un’altra, di speranza, ha fatto il giro del mondo. Perché si tratta di una storia molto particolare. Quella di un sopravvissuto, Mason Wells, 19 anni, missionario mormone. Il particolare che rende la sua vicenda incredibile? Il fatto che Mason è la terza volta, in tre anni, che sopravvive ad un attentato terroristico. La prima volta gli capitò alla maratona di Boston, aprile 2013: si trovava tra il pubblico, in attesa che la madre terminasse la corsa. La seconda volta era a Parigi, il 13 novembre «estremamente vicino a una delle esplosioni ed era rimasto ustionato», ricorda il padre Chad.
E stavolta era all’aeroporto di Bruxelles: è stato ferito a testa e gambe. Ha un tendine lacerato da gravi ustioni. Ma sembra, ha detto un volontario mormone ai suoi genitori, che non abbia perso il senso dell’umorismo: «Nonostante fosse per terra, sanguinante, Mason aveva mantenuto un certo senso dell’umorismo ed era rimasto calmo». Aggiunge la madre Kimberly: «Gli dico sempre, quando viaggia, di fare attenzione a chi lo circonda, e di osservare attentamente le persone intorno a sé». E il padre conclude: «Speriamo che abbia vissuto la sua parte di sfortune e che sia finita per lui». Fra quattro mesi Mason terminerà la sua missione. Chissà che ora non decida di tornare a casa prima, nello Utah. Di certo, Mason non è l’unico. Come lui, o quasi, c’è il francese Lahouani Ziahi, che il 13 novembre era al Bataclan, il locale della strage parigina, e che stavolta era a Bruxelles. Lui l’ha presa con più rabbia: «Non mi sento un miracolato – ha detto – Piuttosto credo di essere perseguitato». I conti col destino sono in positivo anche per Matthew, il cognome non si è mai saputo, la cui vicenda venne raccontata da Le Monde all’indomani degli attentati di Parigi. Trentasei anni, anch’egli era tra i superstiti del Bataclan: 89 i morti tra gli spettatori del concerto degli Eagles of Death Metals. Lui se la cavò con un proiettile nella gamba. Alla moglie, rimasta a casa perché non avevano trovato una baby sitter per la bimba, parve un miracolo. Perché tanti anni prima, nel famigerato 11 settembre 2001, Matthew, cresciuto negli Stati Uniti, si trovava ai piedi di una delle Torri Gemelle. E stava per salire per un appuntamento. Dal basso vide gli aerei schiantarsi sui grattacieli, che poi vennero giù implodendo.
GLI AEREI
Anche se in tema di attentati terroristici, la palma di sopravvissuta più fortunata va certamente a Vesna Vulovic: il 26 gennaio 1972 il volo di linea Jat Flight 367 su cui lavorava esplose a causa di una bomba a 10160 metri d’altezza: lei sopravvisse prima all’esplosione e successivamente all’incredibile volo, senza paracadute, incastrata in alcuni rottami, ritrovata casualmente da Bruno Henke, ex medico dell’esercito. Riportò fratture a cranio, vertebre e gambe. Rimase in coma 27 giorni, ma successivamente si riprese del tutto. Divenne un’eroina nazionale fino a quando, dopo aver criticato il presidente della Repubblica del suo Paese, Slobodan Milosevic, non fu licenziata. Nel 1990. Ha raccontato: «Ogni volta che penso all’incidente, mi sento in colpa per essere sopravvissuta, e piango. A volte penso che forse sarebbe stato meglio fossi morta anche io». Dell’incidente non ricorda nulla: «Solo che mi svegliai in un ospedale e chiesi a un dottore una sigaretta. L’ultima cosa che ricordo prima dell’incidente, è l’imbarco dei passeggeri a Copenhagen, poi niente fino al risveglio dal coma in ospedale».
Vicende talmente incredibili che sembrano uscite da Unbreakable-Il predestinato, dove Bruce Willis sopravvive a qualsiasi tragedia, quasi fosse scritto nel suo destino. Lo stesso che nella sciagura orrenda, arride ad un pugno di ragazzi: sono le tre e mezza del pomeriggio del 13 ottobre 1972 e un aereo Fairchild F-227 dell’aviazione uruguayana perde il controllo a causa di un errore del pilota. Dovrebbe portare ad una partita di Santiago del Cile la squadra di rugby dei “Los viejos cristianos” del Collegio Universitario “Stella Maris” di Montevideo, insieme a parenti e amici dei giocatori. Invece si fracassa sulle Ande. Trasporta 45 persone. Diciotto muoiono subito nell’impatto che rompe in due la fusoliera. Undici perdono la vita qualche giorno più tardi, vuoi per le ferite, vuoi per il freddo, che scende a 40 gradi sotto zero. Alla fine resteranno in 16, per 72 giorni in balìa del gelo e superstiti anche ad una valanga che li travolge. Dopo dieci giorni apprendono dalla radio che nessuno li cerca più: li danno tutti per morti. E loro sopravviveranno mangiando i cadaveri dei loro compagni. Vengono salvati il 22 dicembre, quando Roberto Canessa e Fernando Parrado attraversano le Ande e, scendendo lungo il corso del fiume, riescono infine a raggiungere un contadino al quale scrivono il loro disperato appello.
La vicenda, che vede ancora ogni anno i superstiti riunirsi in gruppo, è stata raccontata nel film Alive. Diverse spedizioni sono state organizzate sul luogo della tragedia da agenzie turistiche specializzate: in una di queste, nel 2005, 33 anni dopo, uno scalatore ritrova un sacco con i documenti e gli effetti personali di uno dei sopravvissuti.
L’ATTORE
Ma c’è anche un sopravvissuto eccellente nel mondo di Hollywood. È Harrison Ford. Il 23 ottobre 1999 era ai comandi di un elicottero Bell 206L6 LongRanger con un istruttore. L’elicottero precipità da 100 metri di altezza, ma fortunosamente andò a precipitare sul letto di un fiume in California, vicino al lago Piru. Diversi anni più tardi, il 5 marzo 2015, Ford è precipitato ancora, con un biposto ad elica, riportando diverse fratture e profondi tagli al volto. Ma, ancora una volta, se l’è cavata.
PARACADUTE
Del 2006 invece l’incredibile vicenda del 25enne paracadutista Michael Holmes, volato giù dal cielo a 200 km l’ora per circa un minuto (ossia da 4500 metri d’altezza) prima che si aprisse il paracadute difettoso (il secondo) a 300 metri dal suolo. Aveva già lasciato il messaggio d’addio registrato nella videocamera sulla testa. Invece se la cavò con un polmone bucato e una caviglia rotta. Ma non c’è solo il cielo.
LE NAVI
Stupefacente, nei mari, il salvataggio invece di Harrison Okene nel 2013: i sub si erano immersi in acqua per recuperare i cadaveri dei dodici membri dell’equipaggio di una nave naufragata a 20 miglia al largo della Nigeria, il rimorchiatore Chevron. Tutto si aspettavano di trovare, tranne che là sotto, ben tre giorni dopo il naufragio, ci fosse qualcuno ancora vivo. Il cuoco di bordo, Harrison, appunto, era rimasto in una sacca d’aria della nave: in sessanta ore senza cibo era sopravvissuto sorseggiando una Coca Cola. « Ero lì in acqua nel buio più totale, il mio solo pensiero era “è la fine”. Le mie mani e piedi erano molto bianche – dichiarò a The Nation – Quando hoi localizzato i sub ho toccato la testa di uno di loro che è rimasto scioccato». Prima di fargli riabbracciare la famiglia furono necessarie 60 ore di decompressione.
Unico resta però il caso di Violet Jessop, argentina, salvatasi dai naufragi delle tre navi più famose del Novecento: la prima fu l’Olympic, dove lavorava come cameriera. Sopravvisse alla collisione con l’incrociatore HMS Hawke il 20 settembre 1911. Dopo il disastro fu assunta sul Titanic e quando riuscì a salvari anche da quel naufragio, fu la volta del Britannic: in 55 minuti, colpito da una mina tedesca nel pieno dell’Egeo, il Britannic andò a fondo. Ma Violet si salvò. Scrisse un libro di memorie, ritrovate dopo la sua morte e diventate oggetto di diversi documentari.
L’UOMO PIÙ FORTUNATO DEL MONDO
Si può essere più fortunati? Forse sì. Arrivato a 74 anni, il maestro di musica Frane Selak, croato, balzò alle cronache per aver vinto i 900mila euro della lotteria nazionale con il primo e unico biglietto mai acquistato in 40 anni. Fu così che venne a galla una storia di coincidenze fortunate (o forse no) che ne avevano caratterizzato l’esistenza: nel 1962 viaggiava sul treno Sarajevo-Dubrovnik, che deragliò finendo in un fiume ghiacciato. Annegarono in 17, lui si salvò. Un anno più tardi, sul volo tra Zagabria e Fiume, una porta si aprì in volo: stavolta i morti furono 19, ma lui riuscì a salvarsi gettandosi fuori e atterrando su alcune balle di fieno. Passarono tre anni e l’autobus con cui andava a Spalato finì in un fiume: 4 morti, si salvò a nuoto. Nel 1970 altro incidente: la sua macchina prese fuoco in autostrada e se la cavò buttandosi fuori prima dell’esplosione. Tre anni più tardi perse quasi tutti i capelli quando una pompa di benzina difettosa deviò il carburante sul cofano surriscaldato che prese fuoco e lo intaccò, ma il vento lo spense. Nel 1995 un autobus lo investì a Zagabria e se la cavò con pochi graffi. Un anno dopo, per schivare un camion, la sua auto il guard rail, restando in bilico sul precipizio il tempo giusto per farlo saltar giù, prima di andare a schiantarsi 100 metri più sotto. Certo, fino alla lotteria, il suo destino poteva essere visto in due modi: il più fortunato o il più sfortunato. Dopo, fu più difficile parlare di sventure. Fecero di lui un cartone animato su Youtube. Ma lui si infuriò, minacciando azioni legali.
LA SPRANGA NELLA TESTA
Eduardo Leite, operaio edile di 24 anni, sopravvisse in maniera impossibile da credere ad un incidente orribile: un’asta di metallo cadde dal quinto piano di un palazzo e gli trafisse il cranio, passandolo da parte a parte, in mezzo agli occhi. È paralizzato sulla parte sinistra del corpo, ma non ha perso la vista. E di fronte alla sua foto con l’asta che lo trapassa, e rimossa poi chiurgicamente, si resta davvero stupefatti.
L’UOMO DEI FULMINI
Ma, forse, non quanto nel caso di Roy. La possibilità che un uomo sia colpito da un fulmine in una vita di 80 anni sono una su tremila. Il ranger Roy Cleveland Sullivan fu invece ufficialmente colpito ben 7 volte, salvandosi sempre (anche se lui sosteneva di essere stato preso anche da piccolo), tra il 1942 e il 1977. La nomea di “parafulmine umano” portava la gente ad evitarlo, con suo sommo e ovvio rammarico. La prima volta si bruciò parte della gamba destra. La seconda gli capitò mentre guidava il camion: il fulmine rimbalzò sugli alberi e entrò in cabina, bruciandogli sopracciglia, ciglia e quasi tutti i capelli. Riuscì comunque a fermare il camion ad un passo dal precipizio. Nelle scosse successive rimase ferito ad una spalla e ancora ai capelli. Iniziò ad aver paura e a nascondersi durante le tempeste. Ma fu preso ancora ad un ginocchio e poi ad una caviglia. L’ultima volta gli capitò mentre pescava: fu preso in testa, sul petto e sullo stomaco. Nonostante questo, non appena vide un orso che stava tentando di rubargli una trota che aveva pescato, prese un bastone e iniziò a colpirlo. Come li attraesse e si fosse sempre salvato resta un mistero. A 71 anni, forse per via di una delusione d’amore, si uccise sparandosi allo stomaco.
LE DUE BOMBE ATOMICHE
Ma la carrellata di queste storie incredibili non poteva che essere chiusa dalla vicenda di Tsutomu Yamaguchi, il giovane ingegnere che il 6 agosto 1945 si trovava a Hiroshima per lavoro. Per via della bomba nucleare riportò gravi ustioni sulla parte alta del corpo. Perse gran parte dell’udito e rimase temporaneamente cieco. Decise di scappare e tornare a casa, a Nagasaki. Tre giorni più tardi, mentre raccontava ai colleghi l’apocalisse che aveva vissuto, la seconda bomba venne sganciata dagli americani. Tsutomu fu l’unico superstite riconosciuto alle due bombe. Morì il 4 gennaio 2010 per via di un cancro allo stomaco. Aveva 93 anni.
La falsa superstite
Ma certo i falsi non potevano mancare. La sua storia è stata per anni l’emblema della tragedia delle Torri Gemelle. Perché Tania Head, alle 8 e 46 dell’11 settembre 2001 si trovava al 96esimo piano della torre sud del World trade center, negli uffici di Merrill Lynch, dove era impiegata e da dove vide il primo aereo arrivare. Il suo futuro sposo, Dave, consulente di Deloitte & Touche, lavorava invece nella Torre nord. Tania si precipitò già per le scale, fino al 78mo piano, il tempo esatto per evitare la collisione del secondo aereo, con la torre in cui si trovava. Riuscì infatti a fuggire, cavandosela con un braccio ustionato. Venne eletta presidente della rete sociale World trade center survivor, formata dai superstiti alla strage. E i sindaci di New York Rudolph Giuliani e Michael Bloomberg la presero ad esempio. Piangeva alle commemorazioni, parlava dei suoi incubi notturni, andava dallo psicologo insieme agli altri sopravvissuti.
Solo che nel 2007 venne fuori che era tutto falso: Tania non era mai stata sulle Torri Gemelle. Neppure era mai esistito alcun Dave. Lo scoprì il New York Times. Quel giorno Tania era a Barcellona, la sua città natale. Dopo lo scandalo, che ispirò un libro e un documentario, la donna sparì. Di lei si tornò a parlare nel 2012, quando il suo datore di lavoro, guardando il documentario, si accorse che la sua dipendente Alicia Esteve altro non era che Tania. La licenziò. E lei lo accusò di essere insensibile per «aver cacciato una vittima del terrorismo internazionale». Nonostante su Facebook avesse poi ammesso che la sua «vita è una farsa», lasciò sul curriculum la sua carica da presidentessa dell’associazione sopravvissuti delle Torri Gemelle. Stavolta, a scoprirlo, fu la stampa spagnola.
Manuel Montero