E’ un paese strano, il nostro.
Sei a casa che ti leggi un vecchio libro di Dickens e pensi:
“Non dovrebbero esserci bambini sfortunati.”
Poi ti vesti pesante, spegni le luci di casa (accortezza necessaria dopo l’ultima, astronomica, bolletta) e vai a farti un giro. Ed è lì, con un’occhiata al cielo, che ti rendi conto di qualcosa di strano.
Quelli attorno a te ridacchiano. Qualcuno scatta foto con un cellulare da ottocento euro.
Hanno lasciato accese le luci all’interno del Pirellone, la sede della regione, pensi escludendo a priori l’ipotesi che qualcuno possa davvero lavorarvi fino a quell’ora.
Poi sposti il collo all’indietro per avere una visione d’insieme più reale e ti ritrovi, tuo malgrado, catapultato in una realtà che neppure Orwell sotto acido avrebbe immaginato.
Un direttore d’orchestra confuso è riuscito a realizzare l’opera più discutibile degli ultimi anni: ha fatto propaganda utilizzando il simbolo della regione Lombardia.
Ed eccoci catapultati nella questione Family Day.
Ma partiamo dall’inizio: che cos’è esattamente questo tanto declamato evento?
Non è altro che una manifestazione (prevista per il 30 gennaio) atta a santificare, è proprio il caso di dirlo, la famiglia tradizionale composta da madre, padre ed eventuali figli.
E allora? Che c’è di così strano?
Semplice.
C’è che il mondo è cambiato.
C’è che l’omosessualità è un dato di fatto e dev’essere obbligatoriamente accettata come una realtà.
C’è che ogni essere umano, qualsiasi siano le sue preferenze sessuali o la sua religione, merita ed è giusto pretenda i diritti di chiunque altro.
Ma veniamo al punto: è giusto che due uomini o due donne, felicemente uniti da un legame, debbano essere riconosciuti come una coppia di fatto?
Su questo, penso, siamo più o meno tutti d’accordo. Persino il buon Celentano, ormai un portavoce del Vaticano.
Il problema si pone per i bambini, pare.
Ma prima di discuterne vi snocciolo al volo una manciata di dati raccattati da internet:
Il 30.7 % delle coppie sposate, prima o poi, divorziano.
35.000 bambini, orfani o allontanati dai genitori, sono parcheggiati in comunità o case famiglia in attesa di conoscere il loro futuro.
L’adozione a coppie appartenenti allo stesso sesso è legale in: Austria, Spagna, Francia, Regno Unito, Belgio, Paesi Bassi, Islanda, Irlanda, Stati Uniti, Nuova Zelanda, Uruguay, Brasile, Argentina…
Ora, penso sia indiscutibile il fatto che un bambino di quattro anni possa avere qualche difficoltà nel crescere con genitori separati o che, meglio ancora, possa godersi serenamente la vigilia di Natale all’interno di una comunità.
Viceversa, se si chiamasse Pablo e fosse nato a Madrid…
Ma davvero i nostri dubbi vengono dalla dottrina religiosa?
Papa Francesco nel 2013, riferendosi all’omosessualità, disse:
“Chi sono io per giudicare?”
Salvo poi, nel 2015, storcere il naso e mettere veti nei confronti di Laurent Stefanini, omosessuale dichiarato, destinato alla carica di ambasciatore francese presso la Santa Sede.
Insomma, il Papa dei poveri, resta vincolato alle sue leggi.
Ma noi, cittadini italiani, dovremmo essere governati da uno stato laico. Uno stato che si fonda sulla costituzione che, nell’articolo 3, recita:
“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
La manifestazione Family Gay del 23 gennaio, tra colori e speranze, è stata la dimostrazione che il mondo vuole e deve cambiare.
Con buona pace di Celentano, del presidente della regione Lombardia, del suo predecessore Formigoni, degli amministratori di Italo (che hanno previsto sconti per chiunque partecipi al Family Day di Roma) e di tutti coloro che restano ancorati al passato e aspettano ancora Carosello per poter andare a dormire.
Alex Rebatto
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