L’incredibile fuga dell’Audi gialla ricorda le cronache degli anni 70. E le clamorose beffe alla polizia della banda di Ezio Barbieri
Un’Audi gialla semina il panico nel Nordest. Non ci sono posti di blocco che tengano, non ci sono mezzi capaci di starle dietro. Sembra la trama di un film troppo improbabile al giorno d’oggi, perché riporta alle corse spericolate degli anni Settanta, quando a Milano gli inseguimenti spericolati erano all’ordine del giorno. E le fughe rocambolesche della banda di Renato Vallanzasca riempivano le cronache per un anno e mezzo, o giù di lì. Eppure dovrebbe essere tutto diverso: centrali operative in costante contatto, tecnologie in grado di monitorare un mezzo in tempo reale ed elicotteri che si alzano a perlustrare la zona come già accadeva ai tempi della corsa disperata di O.J. Simpson negli Usa, seguita in diretta da 100 milioni di telespettatori.
L’Audi gialla sembra invece un fantasma, come la Uno Bianca dei fratelli Savi. Arriva e sparisce. Corre e nessuno la prende. Chissà, forse nessuno pensava che le cose sarebbero precipitate in questo modo. Perché tutto è iniziato il 26 dicembre con il furto all’aeroporto di Malpensa di una Rs4 gialla targata Ticino. Un vero e proprio proiettile, ma una macchina così costosa che si immagina protetta dalle migliori tecnologie satellitari, oltre che, va da sé, da chiavi a codice di altissimo livello. In questo caso si avrebbe a che fare con ladri professionisti.
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Passano venti giorni e, ad Abano Terme, qualcuno chiama i carabinieri segnalando un’Audi gialla con tre persone sospette a bordo. I carabinieri intimano l’alt. Poi, non ascoltati, sparano un colpo in aria. Ma i tre non hanno alcuna intenzione di fermarsi: schiacciano sul pedale e spariscono.
Ancora l’allarme non è tale da far scatenare una vera e propria caccia: in fondo, si trattava solo di una segnalazione di sospetti. Ma, altri cinque giorni, e la Rs4 fila in direzione Trieste. Stavolta, a intercettarla, è la polizia. Posiziona uno sbarramento, mentre alle spalle dell’Audi altri agenti cercano di chiudere il passaggio. La reazione del pilota è inaspettata: ingrana la retro e, dicono, schizza indietro a 150 all’ora, infilandosi giusto giusto nello spazio lasciato aperto dalle pattuglie. Un chilometro così, poi il testacoda: l’Audi Gialla riparte in avanti. E sparisce ancora.
La tensione cresce: non si può farla scappare di nuovo. Si muovono i computer delle centali operative ed eccola lì: sull’A4, all’altezza di San Donà di Piave, dove due dei banditi sono immortalati dalle telecamere di sicurezza di una stazione di servizio.
Tratta successiva: il passante di Mestre. È notte, qualche minuto dopo l’una. E un incidente provoca coda. Forse pensano di prenderli così, imbottigliati in mezzo al traffico. Invece no. Il pilota vira ancora in testacoda e schizza a 150 all’ora per cinque chilometri in contromano, abbatte la sbarra del casello di Spinea e prosegue ancora in direzione sbagliata. Un furgone che lo incrocia inchioda, dietro c’è un’Opel Astra guidata da una donna russa, che lo sperona in pieno: lei muore sul colpo.
È un viavai di sirene: si scopre che il furgone trasporta cuccioli di contrabbando. E che, per tutto quel caos, una ragazza cinese incinta si è sentita male. L’ambulanza la porta via di corsa.
Ora l’Audi gialla, svanita ancora, è in prima pagina ovunque, come ai tempi della caccia al bandito Luciano Liboni.
Su Facebook aprono gruppi di segnalazione, uno da solo conta 8mila membri: la Rs4 la vedono ovunque, ma l’auto scotta. Se non sono stupidi, i tre l’hanno abbandonata. Un investigatore confida al Corriere della Sera: «Hanno fra le mani una macchina che ha più di 400 cavalli e va da zero a cento all’ora più o meno in quattro secondi. Mi dice come facciamo a stargli dietro con i nostri mezzi di servizio?».
Lo dicevano anche dell’Aprilia nera di Sandro Bezzi ed Ezio Barbieri, con targa rigorosamente 777 (il vecchio numero per chiamare la polizia). Una storia che ispirò una strofa di Porta Romana: “La banda di Barbieri era attrezzata / faceva le rapine a mano armata / sette e sette e sette fanno ventuno / arriva la volante e non c’è più nessuno”. Anche allora le forze dell’ordine lamentavano di non riuscire a stare dietro al bolide. Solo che erano gli anni Quaranta.
Edoardo Montolli per Gqitalia.it
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