A dire della liberazione di Brusca al settimanale Oggi è l’avvocato di Nicola Di Matteo, il fratello del bambino sciolto nell’acido dal boss. Poi la smentita del Dap: solo permessi premio di cinque giorni al mese, più le feste di Natale. Nicola ammette: “Non perdonerò mai mio padre”. Ecco l’intervista integrale a Nicola e al suo legale.
“Non perdonerò mai mio padre. Se Giuseppe non c’è più è colpa sua. E dei suoi amici mafiosi”. Nicola Di Matteo ha 34 anni, è sposato ed è padre di due bambine “la più piccola assomiglia a mio fratello… quando sorride mi sembra di rivederlo… Pure gli occhi sono uguali. Ma la mia Isabella ha un padre. Io e Giuseppe non lo abbiamo mai avuto”. Parole forti che l’accento siciliano rende dure come macigni e che dovrebbero essere insopportabili per un padre: “Per lui non lo saranno. Lui non le ha mai ascoltate le mie parole. Le mie accuse. Mai mi ha chiesto perdono perché non può capire quello che mi ha fatto. Quello che ha fatto a mia madre. E a mio fratello”.
Al piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito il 23 novembre 1993, quando aveva quasi 13 anni, e strangolato la sera dell’11 gennaio 1996. Il sequestro fu deciso da un vertice mafioso composto da Matteo Messina Denaro, Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca per fermare la collaborazione di Santino Di Matteo, fra gli esecutori della strage di Capaci in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. Nicola Di Matteo accusa il padre di aver collaborato senza aver messo prima al sicuro la sua famiglia. Per aver sottovalutato la ferocia dei suoi “amici mafiosi”. Fu proprio Santino di Matteo ad indicare a magistrati e investigatori mandanti ed esecutori dell’assassinio del giudice Falcone.
“Sono passati vent’anni da quando hanno ucciso mio fratello. Da quando lo sciolsero nell’acido”, dice ancora Nicola Di Matteo. “Niente è rimasto di Giuseppe, nemmeno un corpo ci hanno fatto seppellire… Ci sono solo le sue foto, i nostri ricordi e il dolore di nostra madre”. Di Francesca Castellese: “Mio figlio era un bambino solare, con tanta voglia di vivere. Amava i cavalli, ed era un campione nel salto ad ostacoli… aveva vinto premi e concorsi regionali… Me lo presero dal maneggio, travestiti da poliziotti della Dia”.
Un pomeriggio di vent’anni fa per il sequestro si mosse addirittura il gruppo di fuoco di Brancaccio, guidati da Gaspare Spatuzza e da Salvatore Grigoli, il killer di padre Pino Puglisi. A Giuseppe dissero “Vieni, ti portiamo da tuo padre”. “Me patri, sangu mio!”, rispose il piccolo, sparendo per sempre. “Il suo ricordo resterà sempre vivo in me. Sono arrabbiata, non sono rassegnata. Una mamma non si può rassegnare”. Rabbia in Francesca Castellese, e rabbia in Nicola Di Matteo “perché la morte che hanno fatto fare a mio fratello è disumana… inaccettabile”.
L’ordine di uccidere Giuseppe Di Matteo arrivò da Giovanni Brusca, soprannominato ‘u verru (il porco), ‘u scannacristiani. Era andato fuori di testa il boss, non ragionava più, e accecato dalla ferocia pronunciò quell’ordine di morte che, una volta emesso, nessuno tentò di cambiare.
La versione di Bruno Contrada – Video
“Mio padre fu il primo a parlare della strage di Capaci. Parlò per salvarsi. E non si preoccupò di quello che avrebbero potuto fare alla sua famiglia. Ai suoi figli. Mio fratello è stato tenuto prigioniero per 779 giorni… è stato spostato da un posto all’altro, legato mani e piedi. E’ rimasto al buio, al freddo… avrà avuto paura. Per colpa di mio padre e dei suoi amici”.
“IL MIO FACCIA A FACCIA CON COSA NOSTRA” – LEGGI
Sono mai arrivate richieste di perdono?
“Certo, e sono state tutte rimandate indietro… Non perdono nessuno. Non lo farò mai”.
Ha chiesto perdono anche Giovanni Brusca?
“No, lui no…”.
Lo ha mai incontrato?
“E’ stato in casa nostra quando era latitante. Giuseppe gli portava da mangiare, restava con lui, parlavano… giocavano insieme. Non sapevamo chi fosse perché solo crescendo ho saputo di mio padre. Di cosa faceva insieme ai suoi amici. Ho scoperto dopo chi erano le persone che ci portava in casa”.
Cosa ricorda di quei giorni… di Giuseppe?
“Mio fratello era anche il mio compagno di giochi, noi facevamo sempre tutto insieme. C’erano solo 22 mesi di differenza. Lui era il più grande. Quel giorno al maneggio di Altofonte andò col mio motorino, e non tornò più… Ricordo l’agitazione di mio nonno, i pianti di mia madre, le lettere… Mio fratello non ha fatto niente eppure ha pagato con la vita gli errori di mio padre”
Crede che collaborare per Santino Di Matteo sia stato un errore?
“Tutta la sua vita è stato un errore. Dall’inizio alla fine… Ha parlato solo per salvarsi, condannando a morte Giuseppe”
Forse non pensava che avrebbero potuto uccidere un bambino
“Conosceva Brusca e gli altri. Lui sapeva perché era come loro. Faceva le stesse cose”
Cercò di arrivare da solo alla prigione di Giuseppe… andò a cercarlo con Gioacchino La Barbera e Balduccio Di Maggio, pure loro collaboratori…
“Lo doveva salvare prima di farlo rapire per colpe sue… se non avessero preso mio fratello avrebbero preso me… Avrebbero anche potuto ammazzarci entrambi. Ma questo mio padre non lo capisce… Non lo capirà mai. Lui è responsabile quanto gli altri della morte di Giuseppe”.
L’AVVOCATO DI NICOLA DI MATTEO: “BRUSCA E’ LIBERO”
“Giovanni Brusca è fuori, ha scontato la sua pena ed è tornato in libertà”, conferma l’avvocato Monica Genovese, 47 anni, legale di Francesca Castellese e Nicola Di Matteo. “Abbiamo una normativa che consente uno sconto di pena per i collaboratori di giustizia e le leggi vanno applicate, anche quando non piacciono”.
Oltre cento omicidi in curriculum, eppure ha lasciato il carcere…
“Brusca non ha mai mostrato alcun segno di pentimento al contrario di persone come Gaspare Spatuzza, ma al di là di quello che penso di Giovanni Brusca e dell’andamento della sua collaborazione le decisioni dei giudici vanno accettate”.
Quante sono le persone processate per il sequestro e la morte di Giuseppe Di Matteo?
“Ad oggi almeno una cinquantina. Ci sono stati vari procedimenti penali, i primi sono iniziati sulla scorta delle dichiarazioni di Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo, quindi degli esecutori materiali. Poi c’è stata la fase agrigentina, poi ancora una fase legata ai palermitani e un’altra ancora che ha visto coinvolti soggetti di Mazara del Vallo e di Castelvetrano. L’ultimo procedimento è stato avviato sulla base della dichiarazioni di Gaspare Spatuzza e ha portato alla condanna di altri soggetti che avevano partecipato alla fase iniziale del sequestro”
Un esercito di oltre cinquanta uomini per sequestrare e uccidere un bambino?
“Un sequestro che è durato due anni. Che ha coinvolto decine di affiliati e di uomini d’onore perché per Cosa Nostra era importante mettere a tacere Di Matteo. In discussione c’era la credibilità dell’intera organizzazione”.
In carcere per il sequestro e la morte di Giuseppe Di Matteo ci sono “solo” i responsabili delle varie fasi del rapimento ma non gli esecutori dell’omicidio. Non Giovanni Brusca che Wikipedia inserisce nell’elenco dei serial killer italiani. Lo scannacristiani è libero “perché le leggi vanno applicate anche quando non piacciono”.
Tutti i libri di Raffaella Fanelli – GUARDA
+ + + + + + + + + + + + +
IL DAP: SOLO PERMESSI PREMIO
Successivamente alla pubblicazione della notizia data dall’avvocato Genovese al settimanale Oggi, il Dap ha fatto alcune precisazioni: si tratterebbe solo di permessi premio, oltre a quelle di Natale.
Un’agenzia AGI ha poi specificato che Brusca gode di cinque giorni di permesso al mese, ma che sarà libero massimo entro il 2020. Ecco l’agenzia:
Palermo – L’ex boss Giovanni Brusca ha trascorso le festivita’ di fine anno in permesso premio, fuori dal carcere romano di Rebibbia, per farvi rientro oggi allo scopo di partecipare in videoconferenza all’udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, in cui e’ imputato, ma anche testimone e principale caposaldo dell’accusa. Il collaboratore di giustizia, reo confesso di centinaia di omicidi, tra cui quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, avvenuto venti anni fa, aveva goduto di permessi regolari fino al settembre 2010, ma un’inchiesta della Procura di Palermo aveva portato alla sospensione del “trattamento premiale” in suo favore. Secondo quanto scoperto dai carabinieri, infatti, l’ex capo del mandamento di San Giuseppe Jato (Palermo), gia’ fedelissimo di Toto’ Riina, avrebbe approfittato dei periodi trascorsi fuori dal carcere per curare affari personali, per gestire alcuni beni attraverso una rete di prestanome e per cercare di farsi restituire un appartamento di sua proprieta’, ma la cui titolarita’ formale era di terze persone. Il processo scaturito da questa vicenda si e’ pero’ concluso con l’assoluzione – oggi definitiva – di Brusca dall’accusa, derubricata da estorsione in tentativo di violenza privata. La fittizia intestazione di beni era stata invece dichiarata prescritta in fase di indagini per tutti gli indagati e ancora prima erano stati restituiti al capomafia i circa 200 mila euro che gli erano stati sequestrati e la cui provenienza era risultata lecita.
Da qui la nuova concessione di permessi premio, prima goduti regolarmente dal pentito, con una media di cinque giorni al mese trascorsi fuori dal carcere. Per le festivita’ di fine anno, come di consueto, Brusca ha goduto del permesso in formale stato di liberta’, ma sotto la scorta del Gom, il Gruppo operativo mobile della polizia penitenziaria: e’ stato cioe’ comunque sorvegliato. Tutto questo avviene a pochi giorni dal ventesimo anniversario dell’orribile omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, tenuto prigioniero per 26 mesi, allo scopo di indurre il padre, il pentito Santino Di Matteo, a ritrattare e poi fatto strangolare dal capomafia l’11 gennaio del 1996, in coincidenza con la sentenza che condanno’ lo stesso Brusca al suo primo ergastolo, per l’omicidio dell’esattore mafioso Ignazio Salvo. Secondo una notizia che si era sparsa in un primo momento ieri sera, il pentito avrebbe ottenuto la detenzione domiciliare, dopo essere rimasto in cella dal 20 maggio 1996, ma in realta’, secondo quanto si e’ appreso da fonti dell’amministrazione penitenziaria, si tratterebbe solo di uno dei permessi temporanei, gia’ concessi a Brusca sin dal 2004. Anche dodici anni fa, comunque, la notizia aveva scatenato polemiche pesantissime. Brusca, dopo quasi 20 anni di carcere, ha da tempo i requisiti per essere ammesso alla detenzione fuori dal carcere, come il fratello Enzo Salvatore, che la ha avuta gia’ nel 2003, e in ogni caso, poiche’ e’ stato condannato a una pena complessiva di 30 anni, potra’ ottenere la liberazione definitiva al piu’ entro il 2020. (AGI)
Questo dovrebbe forse rassicurarci tutti?
I LIBRI DI RAFFAELLA FANELLI:
Thanks for sharing your thoughts about cosa nostra.
Regards