Grigio misto Profano
“ove si annidano le vipere con un piede nello Stato e l’altro nell’Antistato”
“Un sole, quello calabro della jonica sud, che ti brucia senza presagi, una lama quasi piacevole che lentamente ti scalda e ti penetra nelle carni.
Il calore, diverso ma egualmente intenso. Quello emanato dalle carni delle donne locali, mediterranei incroci di fattezze, dai tratti marcati, contrasti di colori di pelle, ambrate o chiarissime, addolcite da profumi di zagare, cresciute tra terra e mare, dagli intimi odori quasi animaleschi e piacevolmente acri.
In tutto il mondo un fatto di cronaca è vero o quasi vero qui invece è falso o quasi falso. D’altronde, se è vero che Cristo si è fermato a Eboli, qui sotto non è mai arrivato neanche un Suo discepolo.
La striscia di mare che percorre la Calabria jonica da Roccella a Brancaleone, attraversa la costa dei gelsomini e offre un panorama di edificazioni con mattoni a vista, tirate su piano per piano e lasciate senza intonaco e rifiniture anche per venti/trenta anni, con il lento trascorrere del tempo, il lasciar cadere le cose.
A far da specchio a questo tetro paesaggio, un cielo chiarissimo, un sole splendente, un mare denso di colori e le enormi distese di spiagge con sabbia chiara e fine intervallata da lembi di rocce che scendono direttamente verso le limpide profondità. Cielo e mare, terra e sole. Il paradiso verrebbe da dire e invece per i più che popolano queste terre è quasi l’inferno”.
E’ in questo lembo di terra che è ambientato il romanzo “La Torre Saracena” un noir che descrive azioni, pensieri e gestualità di un popolo sofferente che aspetta ancora oggi il suo Messia e la promessa di benessere, armonia e libertà.
‘Ndranghietare: modo di pensare e di agire che è riassunto nel verbo che alla mafia siciliana manca.
Così aveva sintetizzato la terminologia utilizzata, la fervida mente che l’aveva coniato, quella dello scrittore Saverio Strati nativo di Sant’Agata del Bianco (RC) un centro nell’entroterra sopra Bianco, nella locride, deceduto il 9 aprile 2014, a quasi novant’anni. Era infatti nato il 16 agosto del 1924. Lo fece nel 1956 quando pubblicò una serie di racconti raccolti nel libro “La marchesina”, raccogliendo il testimone di un altro grande della letteratura calabrese, scomparso quello stesso anno, Corrado Alvaro. Più prepotentemente in altre opere parlò diffusamente del fenomeno ‘ndranghetista e di tutte le sue implicazioni e sfaccettature, specie nell’opera letteraria “Il selvaggio di Santa Venere” che gli valse il premio Campiello.
I territori calabri, da sempre, vengono descritti come poveri e retrogradi, indietro di almeno trenta anni rispetto ad aree più progredite di questo nostro Paese eppure, un giovane letterato di estrazione contadina, ex manovale, autodidatta, originario proprio di quelle terre, ne aveva parlato diffusamente ed esplicitamente, in tempi in cui il fenomeno, era praticamente sconosciuto fuori dai confini della Calabria.
Trenta anni avanti diremmo oggi e non senza voltarci a guardare le sue opere che formano un saggio, utile alla conoscenza per decifrare o decriptare, tali aspetti malavitosi e le sue connotazioni.
Una riflessione che ci avrebbe aiutato a interpretare e contrastare, prima e meglio. Sarebbe bastato leggerle e analizzarle per capire che dentro quel termine, ‘Ndranghietare , vi era la spiegazione di un mondo inquietante, sospeso, altalenante, che intendeva sostituirsi alla Istituzione e alle sue leggi, con il presidio, l’infiltrazione, il verbo, la collusione, l’assoggettamento, l’assolutismo, la violenza. Basti pensare al particolare, non di poco conto che, si sono scelti anche un santo protettore, San Michele Arcangelo, condottiero delle Angeliche milizie.
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Mistificazione tra religiosità e tradizione hanno scritto e codificato in tanti. Ma è proprio così? E se gli esperti delle fenomenologie si fossero sbagliati? Spiegazioni, discettazioni, argomentazioni che comunque e sicuramente in buona fede, potrebbero aver celato, il vero intento di chi, argutamente, in tempi più recenti a partire dal secondo dopo guerra, aveva fatto la scelta per sovrapporsi o addirittura sostituirsi. Si perché lo stesso Santo, è il protettore della Polizia.
Qualcuno potrà obiettare o rilevare che il Santo venne proclamato protettore e patrono della Polizia da Papa Pio XI il 29 settembre del 1949, quindi in un tempo in cui sicuramente la ‘ndrangheta già esisteva. Ma i riti associativi di cui siamo a conoscenza, osservati con molta più frequenza, si rifanno a episodi datati dagli anni sessanta in avanti e allora? Scelta tradizionale mista a religiosità o riscoperta di una gestualità nei riti di affiliazione ponderata e studiata, finalizzata a testimoniare la loro forza di intervento e capacità di risoluzione. O forse entrambe le cose.
Dall’analisi di quel termine, ‘Ndranghietare, così efficace e chiarificatore, l’ interpretazione della scelta contestuale nella simbologia, l’indicazione spirituale della chiamata a difendere.
Ed ecco che la terminologia ‘Ndranghietare, riemerge in tutta la sua efficacia. Modi di pensare e agire appunto, indicati dall’illuminante scrittore che, si ritiene, non si riferiva solo agli affiliati ma anche a tutti coloro che si avvicinavano, a qualunque titolo, alla consorteria.
Probabilmente la stessa riflessione e rivelazione espressa molti anni dopo da Mario Guarino (la ndrangheta) se oggi è diventata l’organizzazione più pericolosa e forte, lo si deve in gran parte (….) alla colpevole acquiescenza di un certo potere politico e da apparati delle istituzioni, che con essa colludono. Estratto contenuto in “ Poteri segreti e criminalità” (Dedalo editore 2007).
“Qui la chiamano ‘Ndrangheta! Ma è all’area grigia che dobbiamo volgere il nostro sguardo, zona da disinfestare e ove si annidano le vipere con un piede nello Stato e l’altro nell’ Antistato, di giorno col culo sprofondato sugli scranni di uffici e consigli istituzionali e di sera sulle poltroncine dei locali ove incontra il malaffare, accompagnati da donne truccate e ingioiellate che avvertono lo sporco ma non sentono l’olezzo, perché vivono di lacca, smalto e lucida labbra.
In queste terre periodicamente si consumano blitz contro la ‘ndrangheta. Leggiamo di arresti, indagati, sequestri di automezzi, denaro, case, bar, ristoranti, palazzi, villaggi turistici. Edificazioni che si aggiungono ad ammassi di altri già costruiti, avviati e abbandonati. Ogni volta una favola che si spegne, come tante altre, già vissute e raccontate e la solita speranza di sviluppo, benessere e lavoro ma dettata da una economia malata, quella delle mafie e dell’area grigia a cui si appoggia. L’area dell’antistato nidificata nello Stato.
Gli impavidi “impresari locali”, con un passaggio repentino da guardiani di vacche a manager non si scompongono. Indossata giacca e cravatta, preso un suv o una Mercedes con leasing intestato alla neonata società di “famiglia” si lanciano in queste fatiche. Non è tutta farina del loro sacco ma, abilmente affiancati, diventano personaggi da utilizzare per fare pressioni e dare una faccia. E così li ritroviamo nella gestione di alberghi, ristoranti, discoteche, pub, bar, tintorie, pizzerie, supermercati, perché a loro piace mostrarsi sino a quando il “grigio” misto al profano, dopo averli avvolti, li stritola per poi abbandonarli”.
Contenuti in corsivo estratti da: “La Torre Saracena” (ABEditore)