Billy the Kid, Jesse James, Wild Bill Hickok, Wyatt Earp, quello no, è finito dalla parte sbagliata. Tutta gente che ha tagliato corto e ha preso le redini; una pistola ha abbreviato la cavalcata, qualunque cosa possa significare. Dite “questo non è il far west” e avete ragione certo, ma le pistole ci sono ancora. Non voglio essere un altro vaccaro.
Comunque, non sono in una banca, troppo scontato. Oggi tocca a La bottega del tabacco. Il tizio dall’altro lato della pistola carica non ha le ghette, le mani le tiene bene in vista anche se è al riparo dietro a un Fort Alamo mica da ridere, fatto di vetro spesso un dito e legno massello.
Sì, lo avete capito, questa è una rapina.
Quando sono nato, non avevo pacchi di soldi nelle scarpe, così ho dovuto correre per recuperare lo svantaggio. Dai banchi di scuola al Beccaria e San Vittore il passo è breve, se sai come muoverti, ovviamente.
E di strada ne ho fatta più di quanta avrei voluto, credetemi.
Il Mephisto mi si è incollato alla faccia, dannato passamontagna. Con un cappello e un fazzoletto avrei sudato di meno, ma la fatica val bene la refurtiva. Cerco di non far ballare troppo il dito sul grilletto e infilo qualche pensiero compiuto nella testa per non terminare l’impresa finendo sui manifesti da ricercato.
Il locale ricorda un saloon di quelli giusti, senza alcool e signore, se capite cosa intendo. I bari ai tavoli verdi non mancano, ce n’è uno infilato in ogni stramaledetto videopoker. L’unica musica è una anonima canzonetta suonata dagli schermi piatti in hd che trasmettono estrazioni, statistiche e piazzamenti.
Da queste parti il tabacco non interessa a nessuno, almeno sino a quando giocano, poi la storia cambia. Entrando, io e il mio compare abbiamo dovuto tagliare la nuvola di fumo e seguire la pista sino a mettere in riga il gregge. Niente capi di bestiame da portare oltre il fiume, solo carne da pensione e disoccupati depressi da tenere tranquilli. Per essere, siamo tutti dei disperati, però non voglio lavorare quanto un peone messicano né, tanto meno, infilarmi un paio di mocassini, dipingermi la pelle di rosso e aspettare la fine in una cazzo di riserva.
Sarà per via dell’odore di chiuso misto a caramelle vecchie e disinfettante scadente che capisco di essere sì un perdente, con sei proiettili e un’occasione da non sprecare.
Il socio non è stato fermo, si è dato da fare. Prima la cassa, i soldi veri, le macchinette e le tasche di quelli che hanno paura della mano del morto.
Con quei bigliettoni ci sarebbe di che festeggiare, se non fosse per quella dannata porta sulla strada. Metti che ne entra uno più nervoso del solito e mi tocca sprecare un po’ di pallottole per alzare i tacchi e levarmi dai guai.
“Sbrigati” dico, più per sfiatare la tensione che per far ballare i presenti.
“Che fretta hai, ci sono ancora quelle” dice, indicando le sigarette.
Niente, è colpa mia. Avrei dovuto scartare Luigi, non è capace di distinguere una pepita da un sasso dorato. Mai troppo pieno per essere davvero sazio.
“Lasciale stare quelle, abbiamo già vinto.” Dico, anche se non può afferrare il succo del discorso.
“Sono lì, che ci vuole?” Penetra nel fortino e infila i pacchetti nel sacco. “Vuoi qualcosa?”
“Sì, che ce ne andiamo.”
Il freddo si impegna a congelare via Padova, Milano d’inverno non è tutta nebbia. Il riscaldamento qui dentro è settato su caldo infernale. Per quello che vale, mi strizzo il volto con le mani perché non mi coli sul collo assieme al sudore acido. Quando la canna sfiora l’acrilico, per meno di un secondo, sento il suo tocco fresco sulla fronte.
No, non ho una Colt Navy, nel giro non ce l’avevano il modello pistolero. Mi sono accontentato di un revolver Tanfoglio. Per un lavoro semplice fa la sua figura, inoltre assomiglia molto alla crea-vedove e, sia mai, rispetta il detto pistole e compari dei paesi tuoi.
Ho quasi finito di farmi bello, Luigi sta ancora pescando stecche quando un cicalino elettronico ci riporta alla realtà.
Per rendermi presentabile, mi sono distratto e qualcuno ha varcato l’ingresso. Niente di che, è entrato il peggior cliente della giornata. Tutta colpa mia se mi faccio beccare con le braghe calate.
Livello l’aria con un gesto, faccio due passi e blocco la reazione dell’ultimo arrivato. Mai pensare cose brutte, te le tiri addosso.
Alla fine, non è entrato un passante a caso, ma lo sceriffo. Uno di quelli che girano in coppia. Fedele alla latta a cui è attaccato, ha pensato che intervenire fosse una cosa buona e giusta.
Niente sfida all’Ok Corral. Sono ancora in vantaggio. Non estrae nemmeno anche se la mano piazzata sulla fondina non è un buon segno.
“Cosa pensi di fare, mi vuoi sparare?” dice e continua a prendere la mira.
Alle sue spalle, oltre alla porta, vedo il suo vice frasi i fatti propri al volante. Non li hanno chiamati, volevano fumare.
Vizio pericoloso, se non ti incolla un cancro ai polmoni, tende ad avvelenarti con il piombo.
Arriva la cavalleria ed era ora. Luigi molla il malloppo, sfila l’arma dalla tasca e grida qualcosa di stupido. Non lo ascolto, rimango concentrato. Non è con le chiacchiere che ne usciremo vivi.
Seppure uniti dal vizio, siamo divisi dalla legge. Me ne fotto della solidarietà tra fumatori, non vuole solo da accendere e, se è il caso, non ho paura a spedire una divisa bucata al Creatore.
Siamo due pistole a zero, un passo dal portare a casa la pellaccia.
“Stiamo calmi, – tendo una mano verso il mio complice – vai a recuperare i soldi e ce ne andiamo, ok?”
Nemmeno il tempo di scansare il problema e va tutto in vacca.
Fuori, il vice sceriffo si è accorto che la pausa è appena diventata una sparatoria. Si attacca alla radio, chiede l’intervento della sua cavalleria e accende i lampeggianti. Prima di agire, fa rimbalzare lo sguardo attorno. Quando è soddisfatto, scende. Con un palmo della mano e qualche imprecazione di troppo ferma il traffico. Non è un pivello, sa quello che fa. Si ripara dietro alla macchina, getta ancora un occhio per perquisire i dintorni e alla fine sfoggia la Beretta.
Non conta se di mezzo c’è un marciapiedi, una vetrina e il suo collega, sento comunque scorrere il sangue più in fretta e l’adrenalina mi accarezza le vene regalandomi un brivido. L’indice si fissa sul grilletto, meglio non farsi cogliere impreparati.
I cimiteri sono pieni di croci, fiori e di gente che se l’è presa comoda.
“Non posso lasciarvi andare.” Il tizio dalla parte del cittadino ha una voce secca, raschia l’udito di chi lo ascolta. Deve aver visto i miei occhi sbiancare e il riflesso blu sul muro, ecco perché si è messo a sprecar fiato.
Luigi ignora la mezza minaccia. “Che cazzo facciamo?” chiede, non perde l’iniziativa e va a riprendere il bottino.
“Aspettiamo.” Non mi agito per niente, non entro in crisi per una domanda. Mantengo il controllo e torno a occuparmi del problema. “Alza le mani, almeno il tuo amico la fuori non si mette a fare al tirassegno.”
Esegue con cura. Ligio al dovere e saggio da non morire per nulla, non abbastanza da stare zitto. “Meglio se vi arrendete e la finiamo qui” dice, sicuro che tutti finiscono per fare quello che vuole, prima o poi.
I giocatori tifano per lui, lo si capisce perché ondeggiano la testa. Forse non lo sanno, o non lo vogliono capire, ma è a forza di annuire se si sono ridotti così, dei pezzenti fatti e finiti.
“Certo che la finiamo qui, a modo mio, se permetti.”
Sparare e cavalcare verso l’orizzonte? Non è ancora arrivato il momento.
Il rumore del traffico si è azzerato. Il tempo suona la carica, sembra un serpente a sonagli sulla sabbia incandescente. I muscoli del braccio sono delle strisce di cuoio bagnato, ho la bocca asciutta mentre una mandria di bisonti mi calpesta lo stomaco. La quiete prima della tempesta non è infinita, sento già i primi tuoni battere la danza della guerra.
“Allora, usciamo?” Luigi spinge, non ha voglia di farsi rinchiudere in gabbia.
“Non ancora, – sorrido – non c’è fretta.”
“Vuoi restare qui tutto il giorno?” chiede, non aspetta la risposta. Sterza con le intenzioni e dalla domanda passa all’azione, torna a inquadrare il bersaglio. “Se non lo fai tu, gli sparo io.” Suda più del dovuto, la paura e la tensione gli chiazzano con macchie più scure l’acrilico con cui nasconde la testa.
“Stai tranquillo, è questione di un attimo e passa tutto.”
La gente troppo lesta si spara ai piedi, i killer mirano al petto.
Io conosco già la fine.
Fuori, oltre la barricata dei buoni, c’è un dettaglio insignificante a forma di punto bianca parcheggiata a bordo strada. Non c’è due senza tre. Uno tiene in pugno la situazione, uno arraffa tutto quello che può e uno guida veloce nel traffico. Fare alla maniera del cavaliere solitario, entrare, arraffare e saltare in groppa a un cavallo attaccato alla staccionata non era un buon piano.
Un onesto cittadino in sosta sul proprio mezzo aggiunge al conto l’ultimo passamontagna. Dal vano porta oggetti estrae qualcosa, non si prende il disturbo di scendere, abbassa il finestrino, mira con calma e spara.
Anche se vigliacco, un colpo efficace. Quasi mi dispiace per il ragazzo, aveva fatto tutto giusto, ma se la fortuna ti abbandona, sei un buon pasto per ingrassare i vermi.
Dopo il botto, lo stallo si rompe. Luigi esita, pensa per troppo tempo. Io suono l’assolo e abbatto l’ultimo ostacolo.
“Ora possiamo andare” dico e indico la direzione. Dopo tutto il tempo passato assieme, prima che cali il sipario voglio ringraziare gli spettatori. “Se a qualcuno viene in mente qualche dettaglio, ricordatevi anche chi ha i vostri portafogli, quindi vaghi e generici, mi raccomando.” Saluto con un cenno e affretto il passo per non scoprire cosa si nasconde dietro alle sirene in arrivo.
Oggi ho sfidato la legge e ho vinto, dite mi è andata bene? Forse, ma domani è un altro giorno e potrebbe essere l’ultimo. Scegliete sempre il vostro destino. Non sperate, sparate e otterrete qualcosa di meglio.
Scusate se non mi trattengo, la via è sgombra e sono libero di cavalcare verso l’orizzonte.
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