L’INCHIESTA/ La storia del giovane dominicano massacrato di botte nel campo dei misteri di Chignolo d’Isola lascia più di un dubbio su ciò che accadde il 26 novembre 2010.
Lo trovano la mattina del 16 gennaio 2011 in un campo di via Bedeschi, a Chignolo d’Isola, nel bergamasco. Ha una profonda ferita sul volto. Si chiama Eddy Manuel Barone Castillo, 26 anni, dominicano che vive ad Almenno San Bartolomeo, una decina di chilometri più in là. A ritrovare il cadavere è un uomo che sta facendo passeggiare il cane. Secondo le prime ricostruzioni, il giovane sarebbe stato picchiato a sangue e sbattuto contro la parete di una cabina dell’Enel, durante la notte al termine di una lite. Vengono sentiti i suoi conoscenti e le persone che frequentavano la discoteca antistante il campo, le Sabbie Mobili. I carabinieri interrogano quasi duecento persone.
IL MISTERO
Ma il mistero della sua morte è destinato ad intrecciarsi con un altro, sul quale, da tre mesi, le forze dell’ordine e la magistratura stanno lavorando senza sosta: quello della fine della tredicenne Yara Gambirasio, scomparsa da Brembate Sopra il 26 novembre 2010. A distanza di quaranta giorni, il 26 febbraio 2011, nello stesso campo di via Bedeschi, a meno di 300 metri da dove è stato ritrovato il corpo di Eddy, verrà infatti rinvenuto, da un appassionato di aeromodelli, anche il cadavere di Yara. Non che tra i due omicidi ci siano collegamenti, ma è il referto autoptico sulla bambina a creare il giallo. Secondo quanto emergerà dal lavoro dell’anatomopatologa milanese Cristina Cattaneo, Yara è morta proprio nel campo. L’assassino, deducono gli inquirenti, l’avrebbe dunque sequestrata e uccisa la sera stessa del 26 novembre 2010.
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I DUBBI
Ed ecco che il fatto comincia a destare perplessità: primo, perché a duecento metri c’è il comando organizzativo che faceva le ricerche di Yara. Secondo, perché in quel campo le ricerche erano già state fatte più volte coi cani dai volontari della protezione civile. E non era stata trovata (il loro capo, Giovanni Valsecchi, morirà un anno più tardi col dolore nel cuore per non averla vista). Terzo, il delitto di Eddy avvenuto a meno di 300 metri: possibile che, trattandosi di un delitto insoluto, i carabinieri non si fossero spostati nel campo alla ricerca di tracce dell’assassino del dominicano, incappando così nel cadavere di Yara? Mentre il profilo Facebook di Eddy viene tenuto aperto e ricordato da amici e sconosciuti, si viene a sapere che il ragazzo era stato obiettore di coscienza e seguiva un gruppo di disabili di Brembate Sopra. Sui giornali si scrive che ad ammazzarlo potrebbe essere stato un branco.
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L’OMICIDA DI EDDY
Il buio sul caso è destinato a durare due anni. Poi, a maggio 2013, arriva la svolta: Nicola Comi, operaio trentunenne di Carvico, viene arrestato con l’accusa di averlo ucciso. Lo incastrerebbero le tracce di dna, corrispondenti al suo, trovate sotto le unghie di Eddy. E il filmato delle telecamere di sorveglianza che inquadravano la zona: avevano ripreso Eddy insieme ad un uomo che, per corporatura, corrisponderebbe proprio a Comi. Nel video si vede, alle cinque del mattino, una persona scuotere Eddy, anche se il momento in cui il dominicano muore sbattendo la testa sul marciapiede, sfugge all’obiettivo della telecamera. A queste prove si aggiunge un mozzicone di sigaretta trovato in zona. Comi si dichiara innocente, ma il 15 luglio 2014 il gup Patrizia Ingrascì lo condanna in primo grado, con rito abbreviato, a vent’anni di reclusione.
Un pilota della protezione civile: “Yara non può essere rimasta tre mesi nel campo”.
DOV’È MORTA YARA?
Ma la soluzione di questo caso aggiunge ombre a quello sulla morte della tredicenne. Specie se si aggiunge che anche un pilota della protezione civile, Ivo Rovedatti, dichiarerà di aver sorvolato la zona due giorni dopo la scomparsa di Yara e di non aver visto il suo cadavere. Per capirsi meglio: Yara sarebbe morta nel campo di Chignolo il giorno della sua scomparsa il 26 novembre 2010. Tuttavia, in quel campo a duecento metri dal commando organizzativo delle ricerche e frequentato da persone che portano a passeggio il cane e da appassionati di aeromodelli, per tre mesi nessuno la vede. Non la vedono i volontari della protezione civile e non ne annusano le tracce i loro cani. Non la vede un pilota della protezione civile che sorvola il campo due giorni dopo la scomparsa. Non la vedono i carabinieri che, due mesi più tardi, indagano sul delitto di Eddy Castillo, avvenuto a meno di 300 metri, pur evidentemente perlustrando la zona, dato che trovano un mozzicone di sigaretta e vanno a scovare le immagini decisive delle telecamere di sicurezza di un’azienda. Com’è possibile? L’avvocato Claudio Salvagni, difensore dell’unico indagato per il delitto, Massimo Giuseppe Bossetti, ha detto che, per quanto sulla schiena di Yara ci fossero graffi e tagli, il suo giubbotto risultava integro. E che il dna mitocondriale ritrovato sul cadavere non appartiene al carpentiere. Le domande spontanee a questo punto sono due: dove è morta Yara? E quando?
Edoardo Montolli
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