«Mi chiedo spesso se è giusto andare avanti. Se lo è per la mia famiglia. A pensarci razionalmente forse no, ma poi un insieme di emozioni e di ricordi mi trascina a una sola risposta: ne vale la pena, è giusto così». Antonino Di Matteo, il pm che indaga sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, risponde in questo modo – in una lunga intervista esclusiva in due puntate che sarà pubblicata dal settimanale “Oggi” in edicola da mercoledì 2 aprie – alle minacce di morte rivoltegli da Totò Riina. Sul sito www.oggi.it è disponibile un video con le parti salienti dell’intervista.
ESCALATION DI MINACCE- «È stato un alternarsi di minacce e avvertimenti di vario tipo» ha detto Di Matteo a “Oggi”: «Una sorta di escalation di scritti anonimi, prima recapitati presso il mio ufficio poi arrivati sulla scrivania di altri colleghi, ma sempre diretti a me. E spediti, infine, anche a casa mia. Non li ho contati, devo dire. Ma la tensione e il livello delle minacce sono saliti quando è iniziato questo processo».
L’INTERCETTAZIONE DI RIINA- Poi è arrivata l’intercettazione di Riina: «Per la prima volta» ha detto Di Matteo «è lo stesso Riina, con la sua voce, a tradirsi. A dare un chiaro ordine di morte. Un ordine che Riina svela, durante l’ora d’aria, a un criminale di basso rango che uno come lui, il grande Capo dei Capi, non dovrebbe degnare neanche di uno sguardo. Eppure è a tal Alberto Lorusso che confida la sua rabbia e i suoi propositi».
ATTEGGIAMENTO SPONTANEO DEL BOSS? – Ma Riina era consapevole di essere intercettato? Ha spiegato Di Matteo: «Quelle conversazioni ci sembrano al momento, e fino a prova contraria, frutto di un atteggiamento e di una volontà spontaneamente trasmessi alla sua “dama di compagnia”, come si dice in gergo. Se fosse dimostrato il contrario sarebbe ugualmente preoccupante: si dovrebbe capire perché e con quali scopi precisi abbia pronunciato quelle parole».
LE PAROLE DI BORSELLINO- Ha aggiunto Di Matteo: «Chi si occupa da tanto tempo di queste vicende deve mettere in conto che l’organizzazione mafiosa possa desiderare o organizzare la sua eliminazione fisica. Certo non sarei credibile se dicessi di essere indifferente alla cosa… Ricordo le parole di Paolo Borsellino: il coraggio non è non avvertire la paura, sarebbe da sciocchi. Il coraggio sta nel far prevalere la consapevolezza di voler andare avanti a testa alta e senza subire condizionamenti. Quello che spero e cerco di fare».
LA TRATTATIVA STATO-MAFIA – C’è stata una trattativa Stato-mafia per fermare le stragi o per farle? A questa domanda il pm Nino Di Matteo risponde così: «Lei mi chiede di entrare nel cuore del processo e delle investigazioni. Non posso risponderle su quello che è successo, le dico soltanto che, teoricamente, le due cose non sarebbero incompatibili. Potrebbero essere due fasi diverse di uno stesso rapporto illecito. Non posso dire quello che ritengo né tantomeno quello che è oggetto delle indagini. Le dico che potrebbero essere due fasi di uno stesso rapporto e connubio criminale».
IL CORVO- Dopo vent’anni si è saputo che Paolo Borsellino stava indagando sulle otto pagine anonime arrivate dopo la strage di Capaci. Perché non è stato mai dato un nome al “Corvo”? «Dal fascicolo che abbiamo acquisito emerge che i Carabinieri, in particolare del Ros, immediatamente non attribuirono attendibilità a quello che veniva rappresentato nell’anonimo ma anzi, nella persona dell’allora generale Subranni, dopo la strage di Via D’Amelio sollecitarono al procuratore Vittorio Aliquò una rapida archiviazione del procedimento, ventilando che l’esposto anonimo mirasse a delegittimare le istituzioni e alcuni esponenti politici. E che fosse un tentativo di intorbidare le acque in un panorama già particolarmente grave e confuso come era quello del secondo semestre del ’92».
IL CORVO E BORSELLINO- Ha aggiunto Di Matteo: «Sappiamo che il giudice Borsellino se ne stava occupando. Ma non abbiamo ancora elementi concreti per ritenere che Borsellino sia stato ucciso anche per quel motivo e per quelle sue indagini».
IL CORVO E RIINA- Nell’anonimo del Corvo ci sarebbe la notizia di un presunto incontro fra Totò Riina e Calogero Mannino. Ha detto Di Matteo: «A Mannino è stato contestato il reato di concorso nella minaccia a corpo politico dello Stato. Quando abbiamo inviato l’avviso di garanzia per interrogarlo, Mannino si è avvalso della facoltà di non rispondere, quindi le domande che avremmo voluto fare sulle vicende del ’92, fino a ora, non hanno avuto risposta. Perché l’allora indagato, oggi diventato imputato, si è avvalso di una facoltà che la legge gli attribuisce: quella di non rispondere».
LE MINACCE RICEVUTE DA CIANCIMINO- Quanto alle minacce di morte ricevute da Massimo Ciancimino, Di Matteo ha detto: « Non parlo di indagini in corso. Ricordo però che è grazie alle sue dichiarazioni che l’inchiesta sulla trattativa è stata riaperta».