«Ieri mi sentivo libero, oggi mi sento oppresso da questi quattro balordi che vincono le elezioni a pagamento». Cosi esordisce Carlo Vichi, 90 anni, amministratore della Mivar Società in accomandita semplice di nota memoria industriale, quando l’intervista è ancora sul nascere. Dopo la rituale stretta di mano entra subito nell’argomento e va giù duro, come la benna pneumatica di un escavatore.
REGALO LA DITTA AL MIGLIOR OFFERENTE. MA ASIATICO- «Eccoci qui, ma non ci piangiamo addosso, quest’azienda, così com’è, la regalo al migliore offerente, ovviamente di origine asiatica, con la clausola di pensare soprattutto al destino dei miei dipendenti», prosegue Vichi. «Come dire “fabbrica e operai, pacchetto unico”». Il “padrone” si siede dietro una scrivania progettata di sana pianta dal suo cervello ancora lucidissimo. Il mobile è comodo, pratico, di tipico stile italiano e le sedie escono fuori dal corpo del tavolo di legno massello appoggiato a un telaio di acciaio ben rifinito.
MOBILI PER UFFICIO- Il futuro della Mivar saranno, forse, i mobili per ufficio. «Una linea per mobili professionali era già in produzione, ma in elettronica riteniamo di poter dire ancora qualcosa nonostante le difficoltà del momento», spiega l’imprenditore. «Ancora non abbiamo ricevuto nessuna proposta, ma confido in un colosso mondiale che sappia ap – prezzare la mia offerta comunque vantaggiosa… Lei, piuttosto, come giornalista, si sente libero? E non fa nulla per combattere questo stato di cose?». Carlo Vichi è un fiume in piena e rimpiange i bei tempi andati del “quando c’era Lui”, tanto per intenderci.
CHIACCHIERE INUTILI- Il “grande vecchio” della Milano- Vichi-Apparecchi-Radiofonici (Mivar) che dal 1945 non si è fermato un attimo, non intende mollare e mostra con orgoglio il nuovo gigantesco stabilimento, mai entrato totalmente in funzione. Un gioiello progettato da lui (quasi in stile futurista, come Filippo Tommaso Marinetti avrebbe voluto) che sembra una città vera e propria. Anzi, una comunità suburbana autosufficiente, dove si vivrebbe meglio che a casa propria. «In questa meravigliosa oasi di lavoro si posso realizzare le cose più disparate, ma che vuole, ormai i tempi sono diversi e nessuna istituzione si fa avanti», si rammarica il 90enne. «Sono venuti qui, hanno parlato, parlato, parlato… Fiumi di parole, e poi se ne sono andati. Questi i politici di oggi, solo chiacchiere inutili, mentre una fabbrica come questa è costretta a chiudere i cancelli in faccia a 1.200 dipendenti ».
LE PREVISIONI DEL DUCE- Carlo Vichi indica una delle tante scritte fasciste che campeggiano in fabbrica e poi, perentoriamente, intima agli astanti di leggerla. «Lei l’ha letta sino in fondo?», chiede al giornalista di turno. «Senta che pura verità, a tanti anni di distanza: o si riesce a dare un’unità alla politica e alla vita europea, o l’asse della storia mondiale si sposterà definitivamente oltre Atlantico e l’Europa non avrà che una parte secondaria nella storia umana. Firmato, Benito Mussolini. Non è ammutolito?».
UN PO’ DI AMAREZZA – Verrebbe da rispondere che i luoghi comuni, spesso, nascondono davvero un’amara verità e, nella fattispecie, Mussolini vedeva lontano. Oggi, infatti, è andata com’è andata e la vecchia Europa deve fare in conti con i paesi del sud-est asiatico, con gli Stati Uniti e con l’America latina, ma questa è un’altra storia. «Nel 1968 non ero d’accordo con le stronzate degli operai che avevano in bocca una sola parola: il diritto», afferma Carlo Vichi. «Io ho sempre pensato che la cosa più importante fosse il dovere. Il dover lavorare dalla mattina alla sera, senza rimandare a domani ciò che si può fare oggi. Invece, oggi si ragiona in maniera diversa ed ecco dove siamo arrivati: a un metro dal baratro». Nel frattempo, Carlo Vichi “collauda” un suo tavolino insieme ai tecnici del reparto, mentre la segretaria gli annuncia nuove visite e altre possibilità di affari con imprenditori stranieri. Vichi s’appresta ad accogliere due professionisti venuti a trovarlo da Milano e, tra una telefonata e un appuntamento, non perde occasione per entrare nel merito su mille argomenti. «Come ho già detto la scorsa volta», conclude Vichi con gli occhi lucidi, «vorrei che la mia gente tornasse a sorridere».
Giuliano Rotondi per Cronaca Vera