Si dice che a fianco di un grande uomo ci sia sempre una grande donna. Lo sa bene Luca Zingaretti che, tra un Montalbano e l’altro, è tornato a condividere il set con la moglie Luisa Ranieri, dieci anni dopo il primo incontro, galeotto, durante la lavorazione greca del film storico Cefalonia. Abbiamo incontrato l’attore a Roma, sempre disponibile a commentare i risvolti d’attualità e, perché no, personali, che emergono dalle sue fiction come Il giudice meschino, la più recente, andata in onda poche settimane fa su Raiuno, ma anche dai suoi film.
Luca, il tuo nuovo film, Maldamore di Angelo Longoni, è incentrato sul tradimento e sul perdono. Tu saresti disposto a perdonare la tua donna?
«Ritengo che le corna siano una cosa brutta, ma ce ne sono altre peggiori, ben più inaridenti per qualsiasi coppia ».
La pellicola sembra suggerire che il tradimento sia utile per risvegliare un matrimonio in crisi. Che cosa ne pensi?
«Per me tra marito e moglie è ben più grave non avere niente da raccontarsi la sera. Con questo non voglio dire che il tradimento sia una cosa da augurarsi, ma il film parla di persone che hanno perso il controllo della propria esistenza».
Passi con facilità dall’inchiesta alla commedia. Ti piacciono questi “salti interpretativi”?
«Chi, come me, ama questo mestiere lo fa nella necessità di continuare a raccontare delle storie e quando si ha la possibilità di cambiare registro naturalmente ci si butta. Il regista di Maldamore, Angelo Longoni, lo conoscevo da tantissimo tempo e ritrovarlo è stato davvero un grande piacere ».
Ti abbiamo da poco visto anche nella serie Tv Il giudice meschino. Che cosa ti ha spinto ad accettare la parte del magistrato Alberto Lenzi?
«Mi è piaciuta molto la storia e anche l’idea di collaborare con un regista come Carlo Carlei. Sostanzialmente sono state queste le due cose che mi hanno convinto a vestire i panni, dopo un ispettore amatissimo come Salvo Montalbano, di un altro investigatore del Sud. A parte questa similitudine, però, non penso che Lenzi e Montalbano abbiano tanto in comune: il secondo, dopo tutto, è un po’ un Arlecchino, appartiene alla commedia dell’arte».
Come ti sei trovato in questi nuovi panni?
«Ho fatto i conti con l’urgenza di dovermi calare psicologicamente in un universo drammatico, che in passato veniva considerato soltanto alla stregua di una leggenda metropolitana: dalle navi dei veleni fino al seppellimento dei rifiuti tossici. Un problema che però, contrariamente a quanto spesso si ritiene, non riguarda solamente il Sud, ma l’Italia intera».
Le vicende legate ai magistrati rappresentano un tema piuttosto delicato ma sempre molto affrontato in televisione e anche al cinema. Tu personalmente cosa ne pensi?
«È vero, il fatto è che in Italia i giudici sono sempre più spesso al centro di critiche feroci. E, visto che viviamo in un Paese democratico, il numero così elevato di caduti tra i magistrati ammazzati dal terrorismo e quelli fatti fuori dalle mafie è davvero inaccettabile e imbarazzante».
A tuo parere, come si esce dalla crisi, non solo economica, che ci affligge da un po’ di anni ormai?
«Credo ci sia una soluzione infallibile per iniziare a contrastare la crisi che ci attanaglia: sono convinto che se tutti ricominciassero a vivere all’insegna del dovere e del rispetto delle regole, si tornerebbe a respirare un clima più semplice e sereno. A mio parere dobbiamo necessariamente ripartire da qui».
La soluzione è nel quotidiano, quindi?
«Siamo immischiati in una crisi internazionale, non dimentichiamolo. Ma sta agli italiani la scelta se migliorare oppure peggiorare la situazione critica che ci circonda. Cominciamo dal quotidiano, sì: parcheggiamo correttamente la nostra automobile per la strada, paghiamo tutte le tasse che ci spetta pagare, e andiamo avanti così. Andrà di certo un po’ meglio, ne sono convinto».
Com’è stato tornare a lavorare al fianco di tua moglie, Luisa Ranieri, a dieci anni esatti dall’incontro sul set che vi ha fatti innamorare?
«È stato piacevolissimo. Anzi, dico di più, è stato un vero privilegio. Luisa è una grande professionista e sinceramente non ho provato nessuna sensazione strana. Anche perché, per noi attori, è nell’ordine naturale delle cose dividere il set con persone care, oppure tornare a lavorare con colleghi con cui si è già condiviso, magari con successo, un progetto di lavoro in passato».
Tommaso Martinelli per Stop